Letta fa lo yankee per sollecitare Draghi e per isolare Salvini

La sfida a Salvini si rinnoverà martedì, in vista del voto sulle mozioni parlamentari. La Lega vuole impegni vaghi, il Pd spinge per un mandato più deciso

Valerio Valentini

L'asse con Guerini e Gentiloni, la proposta di sostenere la resistente ucraina. "Possibile che siamo stati gli unici del G7 a non mandare alcun sostegno a Kyiv?". Il nervosismo per l'eccessiva cautela di Palazzo Chigi sulle sanzioni. Le rassicurazioni di Timmermans sul gas. Così il segretario del Pd ha scleto la linea iperatlantista, anche per isolare Salvini

Non lo controllano. Enrico Letta, “lo yankee” del Nazareno. Mercoledì mattina, in una riunione riservata, Lorenzo Guerini aveva spiegato che in sede Nato s’era discusso dell’invio di armi a sostegno degli ucraini: “Ma ci penseranno gli Usa a farlo, e forse anche Londra”. Al che il segretario aveva sobbalzato: “E perché non lo facciamo anche noi?”. Sembrava un’impuntatura del momento. Poi, quando Letta lo ha riproposto in Aula, davanti a Mario Draghi, s’è capito che faceva sul serio.

E la svolta è così notevole che perfino chi mai ha riservato parole dolci al segretario sembra ricredersi. “L’atlantismo spinto di Letta mi sorprende in positivo”, dice Andrea Marcucci. “Perché è giusto nel merito, e perché è furbo in prospettiva: col mondo che si ripolarizza, lui sa di essere l’unico, tra quanti possono ambire a Palazzo Chigi, a non avere colpe da espiare con gli americani. A differenza di Conte, a differenza di Salvini”. 

E del resto, se nell’atteggiamento degli avversari cercava una conferma della bontà della sua posizione, Letta la trova nei tentennamenti di Matteo Salvini. Che veste i panni del pacifista umanitario e dice che “non c’è nessun derby tra filoputiniani e antiputiniani”, bontà sua. “A che serve stare qui a condannare, se stasera Putin berrà champagne a Kyiv?”, si chiede il leghista Stefano Candiani, che interpreta il neutralismo del segretario. “Matteo fa bene a strambare: Letta fa l’americano di sinistra, la Meloni fa l’americana di destra, e infatti guarda caso oggi è in Florida e non qui. Scommettono entrambi su Washington, che ha combinato il disastro afghano? Auguri”.

Ma non c’è solo un calcolo politicistico, che pure conta, a suggerire la linea dell’oltranzismo a Letta. Perché se lui, che fa della prudenza la sua cifra, sulla condanna a Putin sceglie l’intransigenza, “è anche perché in politica estera – spiega il  dem Stefano Ceccanti – segue l’insegnamento di Nino Andreatta”. E cioè che nelle crisi internazionali, si sta con gli americani. “Anche oggi, nel dibattito in Parlamento, ci sono state delle storture”, dice  Enrico Borghi, consigliere diplomatico di Letta. “Da una parte c’è una difficoltà  ad ammettere che la guerra è la naturale evoluzione del sovranismo; dall’altra, in alcune letture c’è un eccessivo peso all’economia rispetto alla posta storica in gioco”.

Il che testimonia anche di come al Nazareno si sia respirato un certo nervosismo, ben dissimulato, nei confronti della cautela di Draghi. “Possibile che siamo gli unici del G7 a non aver mandato  supporto materiale a Kyiv?”, si chiede Letta, a metà mattina, prima di entrare a colloquio con l’ambasciatore ucraino, prima di accogliere i suoi sbuffi di malcontento (per il fatto che l’Italia ha tirato il freno sulla disconnessione della Russia dal circuito bancario Swift) e di garantirgli che “sì, noi nel Pd siamo a vostra disposizione”. Di qui l’insistenza del segretario dem sull’invio di “attrezzature militari” agli ucraini, una mossa che produce non pochi dissensi tra i dirigenti di Leu e nel fianco sinistro del Pd, ma fatta anche in un’ottica – che l’intelligence Nato non esclude – di un proliferare della guerriglia dopo l’incombente deposizione del governo Zelensky. Di qui il sostegno formale del Nazareno alle istanze  finlandesi di ingresso alla Nato, che vengono stigmatizzate dallo stesso Cremlino. Di qui, ancora, il rinsaldarsi dell’asse con Paolo Gentiloni, quell’aggiornarsi costante sugli sviluppi del dibattito europeo sulle sanzioni. Perché se Letta è convinto che si possa fare di più, contro Putin, senza temere rappresaglie sul gas, è perché due giorni fa è stato lo stesso Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione, a rassicurare i leader del Pse su una autonomia  di almeno sei mesi e sulla possibilità di trovare, entro settembre, fonti alternative.
E così Letta detta anche alle sue capogruppo la linea della fermezza in vista della prossima zuffa parlamentare: quella in vista della stesura delle mozioni di maggioranza da votare in Aula martedì, in occasione delle nuove comunicazioni di Draghi alle Camere. La Lega predica già cautela, opta per la vaghezza degli impegni. Motivo in più, per Letta lo yankee, per tirare dritto.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.