I timori paralleli di Letta e Salvini convergono verso Casini (per ora)

Il vertice rossogiallo per chiedere una soluzione super partes alla quarta votazione. Renzi prova a convincere il leader della Lega sull'ipotesi "Pier Ferdinando"

Valerio Valentini

Il capo della Lega medita la prova di forza, ma vede l'ombra di Draghi. Il segretario del Pd intercetta le strane manovre del M5s che potrebbe dire sì alla Casellati, e chiede a tutti i leader un incontro trasversale per un nome condiviso. L'ex presidente della Camera si rafforza, per ora

Da un lato c'è Matteo Salvini, che la tentazione dell'azzardo la accarezza ancora, eccome, ma sa che il rischio è massimo. Dall'altro c'è Enrico Letta, che intercetta strane manovre nel mondo grillino, e prova a evitare che tutto precipiti, nel campo largo e indefinito del centrosinistra. E insomma sono paure parallele e convergenti, quelle dei due leader delle opposte fazioni, e che sembrano poter confluire sullo stesso nome: quello di Pier Ferdinando Casini.

Non che sia tutto deciso, ovviamente, anzi. Di certo, per ora, c'è che Letta vuole provare a inchiodare Salvini e Meloni a quel "bisogno di unità" inserito nel comunicato del Cav. ieri pomeriggio, quello della rinuncia. E quindi di buon mattino si spende per organizzare a Montecitorio, nella Sala Berlinguer del gruppo del Pd, un vertice rossogiallo ai massimi livelli: nella stessa stanza ci sono, oltre al segretario dem, Roberto Speranza e Giuseppe Conte, e insieme a loro i rispettivi capigruppo. Riunione scenografica, certo, per dare l'idea della compattezza della coalizione, ma anche di sostanza. E la sostanza è questa: chiedere a Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia un incontro trasversale, coi leader di tutti gli schieraenti, per individuare un nome comune, super partes, da poter votare già alla quarta votazione. "Nelle prossime ore promuoveremo i confronti necessari per arrivare ad un tavolo con tutti i gruppi parlamentari al fine di individuare il nome condiviso", si legge nel comunicato congiunto diramato al termine del vertice. Per i primi tre scrutinii, invece, nonostante le molte perplessità dei parlamentari dem, Letta sembra convinto - ma la decisione finale arriverà solo domani - ad assecondare il M5s nel sostenere la candidatura di bandiera di Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio. Un rischio, secondo alcuni maggiorenti del Pd, che forse paleseranno i propri dubbi nella riunione dei grandi elettori oggi pomeriggio: un rischio perché espone una coalizione non esattamente compatta al responso della conta, che dimostrerà quanta fedeltà alla linea ci sia nel campo rossogiallo.

Ma in fondo è proprio questa, la preoccupazione di Letta: garantirsi una strategia condivisa col M5s. Sono arrivate anche a lui, del resto, le notizie delle telefonate di capibastone grillini a parlamentari dem e del Misto: c'è l'nstancabile Riccardo Fraccaro, che incredibilmente insiste a vagheggiare Giulio Tremonti, e c'è uno schema di fondo che suona così: "Se il Pd pone un veto su un nome di centrodestra, una pattuglia di dissidenti grillina si staccheràe voterà con Salvini. Voi ci state?". Per questo Letta, che pure tiene ferma la sua convinzione sulla bontà dell'eleizone di Mario Draghi, non disdegna l'opzione Casini. Perché a Draghi bisognerebbe arrivarci più in là, dopo aver respinto le proposte del centrodestra su Pera, Moratti, e soprattutto Elisabetta Casellati. Ma siamo sicuri, ragionano nel Pd, che il M5s non si lascerà irretire da Salvini?

Il leader del Carroccio, del resto, nella sua incertezza alimenta i timori di Letta. Perché l'idea di tentare una conta, una prova di forza, su un nome di centrodestra, non se l'è affatto tolta. "Da sinistra non sono piùammessi veti incrociati come avvenuto fino a ieri. Siamo pronti a proporre donne e uomini di altissimo profilo", scrive in una nota. E' il profilo che sembra delinearsi è quello di Elisabetta Casellati. E' su quel nome che potrebbe tentare l'azzardo: cercare una manciata di voti tra i dissidenti del Pd, promettendo loro la poltrona di presidente del Senato che resterebbe vacante, attrarre un po' della truppa grillina e andare alla pesca nel Misto. Se gli riuscisse, sarebbe un trionfo.

"Ma se non gli riesce, è la sua fine politica", sentenzia Matteo Renzi. Che sulla Casellati è stato sondato dal leader del Carroccio, ricevendo però una certa contrarietà. Piuttosto, il senatore di Scandicci predica a Salvini, e ai suoi più ascoltati consiglieri, la bontà della via che porta a Casini. Una via rapida, piana, senza insidie. Non sarebbe un trionfo per nessuno, forse, ma sarebbe un discreto risultato per tutti. Specie con l'ombra di Draghi sempre incombente, che prenderebbe forza e consistenza col prolungarsi delle trattative e dell'inconcludenza. La Meloni è forse a quello che punta, stando almeno a quanto Antonio Tajani ha riferito ai suoi confidenti dopo il vertice da remoto di ieri. Ma per evitare di dare spazio all'ostruzionismo della presidente di FdI, è il suggerimento di Renzi a Salvini, non sarebbe utile chiuderla subito, alla quarta votazione, su Casini?

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.