Errori, omissioni e giochini di quelli che Draghi-resti-dov'è

Giuliano Ferrara

Governo indebolito, nuovo premier dopo le elezioni del 2023: ecco che cosa succederà in Italia con un presidente della Repubblica che non sia Draghi

Il problema di quelli che Draghi-deve-restare-dov’è e non deve andare per sette anni al Quirinale è complicato e semplice: devono spiegare che cosa succederà in Italia fino al 2023 e dopo le politiche con un presidente della Repubblica che non sia Draghi. Primo. Il governo sarà inevitabilmente indebolito, con la sua maggioranza sempre più scombiccherata dalle esigenze ovvie della campagna elettorale per le politiche, posto che il nuovo capo dello stato sia una personalità compatibile con la prosecuzione della presidenza del Consiglio Draghi. Secondo. Non esistendo le condizioni per un partito o un’area politica draghiriferita in vista delle elezioni, ché sarebbe una secessione flagrante dalla maggioranza che ha accompagnato la sua esperienza di capo dell’esecutivo, dopo le elezioni ci dovremmo comunque privare di Draghi per la semplice ragione che presumibilmente la guida del governo andrà a chi ha ottenuto una maggioranza.

Tutta la giostra delle garanzie interne e internazionali per il piano di rinascita e l’investimento monstre dei quattrini europei comincerebbe a girare a vuoto subito dopo la scelta dell’inquilino del palazzo della presidenza della Repubblica, per non dire della gestione dell’emergenza sanitaria al suo picco prevedibile. Si può fingere, ma è appunto una finzione, la continuità e la stabilità in presenza di un cambiamento tanto spesso e rilevante, l’inizio di un nuovo mandato presidenziale scollegato ovviamente dalla missione che Mattarella affidò a Draghi in emergenza politica un anno fa. Tutto questo è talmente evidente, fa parte in modo così chiaro del teorema o postulato politico che impone l’elezione di Draghi al Quirinale, che si stenta a capire come persona con la testa sulle spalle, e in ottima fede, e in esercizio di un’intelligenza libera delle cose d’Italia, possa confutare o negare l’assunto. E dunque?

C’è poi il problema personale di un uomo che ha dato prove consistenti di abilità tecnica e politica, di decisionismo operoso nei momenti importanti, un tipo che si è formato nell’alta scuola dei Grand Commis de l’Etat e al tempo stesso nella scuola politica e istituzionale italiana e internazionale, con risultati noti fin qui e ratificati ampiamente. Non credo proprio che un tipo come Draghi senta l’impellente urgenza di un coronamento della sua esperienza o di una incoronazione addirittura. Semplicemente, non ne ha bisogno. Se scartato come candidato potenziale al Quirinale e poi corroso, com’è inevitabile, nell’esperienza di governo alla prova del ritorno della politica e delle elezioni, la personalità del whatever-it-takes e di uno sforzo di risanamento e riforma nel terzo paese europeo per importanza resterebbe tranquillamente in sella non dico al proprio mito, o alla propria leggenda, ma certo alla propria reputazione di uomo di finanza, di burocrazia tecnocratica e di stato. Con ogni evidenza non è Draghi che ha bisogno della carica di primo magistrato, sulla quale ha il diritto e il dovere di non pronunciarsi anzitempo, ma l’Italia che ha bisogno di non perdere nelle ciarle e nelle quisquilie quanto il salvatore dell’euro e il risanatore del paese ha accumulato in termini di prestigio e garanzie interne e internazionali.

Quando il senatore Salvini dice: e io che ci faccio nella maggioranza di governo con Draghi fuori da Palazzo Chigi? bè, dice quale sia il suo presunto interesse di partito alla prosecuzione dell’esperimento, apparecchia le condizioni stesse di una lunga campagna elettorale già virtualmente cominciata, e con questo si dà la famosa zappa sui piedi. In risposta alla sua domanda le persone normali osano domandarsi a loro volta: e Draghi che ci farebbe in una maggioranza ormai solo virtuale, alla vigilia del suo scioglimento? Insomma, c’è una prospettiva realistica e onorevole, contrastata da una serie di giochini ai quali si prestano coloro che non intendono la politica di questo paese, di questo sistema.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.