Concorrenza, atto Secondo

La svolta imminente di Draghi sui balneari diventa una tagliola per Salvini

Gasparri non ci sta. "Quella del Consiglio di stato è una sentenza irricevibile, un'istigazione al suicidio che noi respingeremo, anche a costo di prendere qualcuno a pedate nel deretano". Anche se quel qualcuno è Draghi?

Valerio Valentini

L'autolesionismo della destra ha portato a bocciare una proposta di compromesso mesi fa. Ora, la sentenza del Consiglio di stato impone una soluzione più rigida. Il leader della Lega già sulle barricate. Anche Forza Italia in subbuglio. E Conte (dopo aver varato la proroga nel 2019) prepara la svolta: "La direttiva Bolkestein è un'opportunità"

Ai parlamentari campani che si preoccupavano per le possibili ricadute elettorali (“Da noi quelli sono una casta, e pure pericolosa”, sibila Angelo Tofalo nel cortile di Montecitorio), Luigi Di Maio ha suggerito di lasciar perdere, di non avventurarcisi neppure sulla via della difesa dei balneari, perché a Palazzo Chigi sono risoluti, ora sì, a intervenire in modo “efficace e veloce”. E anzi, per uno strano paradosso dell’inconcludenza, l’approccio prudente che Mario Draghi voleva seguire su questa partita pare destinato, ora, a farsi assai più vigoroso. Perché già nel luglio scorso, nella bozza poi abortita del ddl Concorrenza, i consiglieri del premier, guidati da Francesco Giavazzi, sulla messa a gara delle concessioni balneari avevano previsto una riforma accomodante: che prevedeva, sì, la delega al governo per avviare i bandi “entro sei mesi”, ma riconoscendo al contempo alcune “clausole di protezione” per i gestori attuali. E dunque si stabiliva che si tenesse “in adeguata considerazione la posizione dei titolari che negli ultimi cinque anni abbiano fruito della concessione quale unica o prevalente fonte di reddito”, e perfino un possibile “indennizzo da riconoscere al concessionario uscente”, nonché un comma che scongiurava il rischio delle concentrazioni eccessive. Tutte premure che ora non potranno resistere. 

Balneari, cosa succede dopo la sentenza del Consiglio di stato

Perché la sentenza del Consiglio di stato ha indicato una soluzione rigorosa, ribadendo cioè che “nel procedimento di assegnazione dei beni demaniali occorre assicurare il rispetto delle regole della par condicio, tra cui, in primis, l’effettiva equipollenza delle condizioni offerte dal precedente concessionario e dagli altri aspiranti”. Insomma: nessuna tutela. E questo ovviamente rende assai più ostica l’opera di mediazione che il governo italiano, col responsabile Enzo Amendola, stava tentando per convincere Bruxelles, che sul tema ci sanziona da anni con una procedura d’infrazione, a lasciarci trovare un compromesso che non colpisse troppo severamente migliaia di famiglie impegnate nel settore. E insomma la strategia della cautela, quella predicata dal sottosegretario Roberto Garofoli per evitare rotture drammatiche con la destra di governo, va ora rivista. 
E forse è proprio percependo il rischio incombente, che Matteo Salvini dice che “quella del Consiglio di stato è una sentenza imbarazzante, da quarto mondo”, rinnovando la sua crociata a favore di questa intoccabile lobby di cartone. Posizione condivisa anche da una buona parte di Forza Italia, che pure nel 2010 guidava, insieme al Carroccio, il governo che recepì quella ora viene definita “la liberticida direttiva Bolkestein”. E così Maurizio Gasparri, senatore azzurro che non disdegna il lessico verace, ci spiega che “la sentenza è irricevibile, e induce il Parlamento a svendere le coste italiane a qualche magnate russo o cinese”. Insomma, “è un’istigazione al suicidio che non faremo mai passare, anche a costo di prendere a calcioni nel deretano chiunque provi a imporcelo”.

Difficile dire se tra coloro che Gasparri sarebbe disposto a malmenare ci sia anche Draghi. Quando glielo si chiede, svicola (“il premier non oserebbe svilire così il nostro paese”). Ma è certo che anche FI spera che l’ex presidente della Bce si adegui all’accidia con cui fin dal 2006, anno dell’emanazione della direttiva,  tutti i suoi predecessori a Palazzo Chigi affrontarono il tema. La prima proroga, varata nel 2009, sarebbe dovuta scadere nel 2015; sennonché nella legge di Bilancio del 2012 (Mario Monti, tu quoque!), si rinviò tutto al 2020. Prima che nel 2019 Giuseppe Conte allontanasse la  scadenza fino al 2033. E insomma in un sospiro di indolenza, Gilberto Pichetto, viceministro dello Sviluppo di FI, invita  a non drammatizzare: “Il Consiglio di stato fissa la revoca delle concessioni al 31 dicembre 2023. Se ne riparla nella prossima legislatura”.

Il fronte del centrodestra contro le gare della Bolkenstein

Non sarà così. Perché tra le varie soluzioni che a Palazzo Chigi stanno studiando, non ce n’è nessuna – un nuovo decreto ad hoc, il richiamo in Cdm del ddl Concorrenza appena approvato – che contempli un nuovo rinvio. E allora è fiutando la possibilità di mettere alle strette Salvini, che nel centrosinistra dismettono ora ogni cautela. Nel Pd, dove pure c’è chi ha sempre difeso i balneari, le parole del presidente della commissione Affari europei del Senato, Dario Stefano, danno il senso dell’urgenza: “Le concessioni demaniali marittime vanno messe a gara, senza se e senza ma”. E  si spiega anche la solerzia con cui il suo omologo alla Camera, che è del M5s e si chiama Sergio Battelli, insieme al collega Francesco Berti provano a catechizzare i loro compagni grillini: “Ora che anche l’ultima resistenza è caduta, vogliamo smetterla finalmente di andare dietro a chi, nel centrodestra, si schiera a difesa delle lobby?”. Non parlano da eretici, in verità. Perché anche Conte ha deciso che è il momento di strambare, e allora insieme al suo fedelissimo Mario Turco s’è messo a studiare il dossier. L’ha accennata ai suoi ministri e ai suoi capigruppo, la nuova linea da seguire: si dirà che sul Conte I si scaricarono i ritardi dei precedenti governi, che in quel momento il M5s era succube del trucismo salviniano, che insomma si fu a favore, ma si era contro. Si dirà comunque che la direttiva Bolkestein “è un’opportunità e non una minaccia”. E insomma si offrirà a Draghi una soluzione politica. Che però porterà la Lega a tornare sulle barricate. La Lega di Salvini, almeno. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.