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editoriali

Una svolta sulle concessioni balneari

Redazione

Il Consiglio di stato fissa la data per la fine di una anomalia: 2023. Evviva!

"Per consentire alla Pubblica amministrazione di intraprendere sin d’ora le operazioni funzionali all’indizione di procedure di gara, per consentire a governo e Parlamento di approvare doverosamente una normativa che possa finalmente disciplinare in conformità con l’ordinamento comunitario il rilascio delle concessioni demaniali, nonché per evitare l’impatto sociale ed economico della decisione, le attuali concessioni demaniali marittime potranno continuare fino al 31 dicembre 2023. Dal giorno successivo non ci sarà alcuna possibilità di proroga ulteriore, neanche per via legislativa, e il settore sarà comunque aperto alle regole della concorrenza. Scaduto tale termine quindi tutte le concessioni demaniali dovranno considerarsi prive di effetto indipendentemente da se vi sia o meno un soggetto subentrante”. Lo ha sancito oggi, con due sentenze, l’adunanza plenaria del Consiglio di stato, il massimo e in questo caso inappellabile organo della giustizia amministrativa.

Le concessioni balneari – 26.689 delle quali 21.581 pagano al demanio il canone medio di 2.500 euro l’anno – sono state il vero ostacolo all’approvazione del governo della riforma della concorrenza, una delle condizioni poste dalla Ue per i fondi del Recovery plan. L’Italia infatti disattende la direttiva Bolkestein sulla messa a gara di beni e servizi pubblici. Senza contare il danno erariale: per le spiagge incassi di 103 milioni di euro a fronte di un fatturato ufficiale di due miliardi. L’ostacolo politico è sempre stato soprattutto la Lega, che tra i balneari ha costruito una base elettorale; al punto che in èra gialloverde con la manovra di fine 2018 le concessioni esistenti erano state prorogate di ben 14 anni, fino al 2033. Mario Draghi nel Consiglio dei ministri del 4 novembre aveva così potuto far passare una riforma a metà, che per le concessioni marine prevedeva solo una “trasparente ricognizione”. Da Bruxelles era arrivato non precisamente un plauso. Il Consiglio, che aveva più volte sollecitato il governo, gli ha dunque tolto le castagne dal fuoco. Evviva.