La faida nel Carroccio

"Nella Lega che conosco io, ognuno sa stare al suo posto". I mugugni di Salvini contro Giorgetti

Valerio Valentini

Il leader del Carroccio, spiazzato dall'attacco del suo vice. "Giancarlo vuole sfidarti a Congresso", lo avvisano i lumbàrd. E poi c'è chi pensa alle voglie da premier del ministro dello Sviluppo. Salvini prepara il consiglio federale di domani, e prova stroncare la polemica: "Qui tutti sappiamo qual è il nostro ruolo"

Lo sfogo lo raccolgono i suoi confidenti. Quelli che lo hanno chiamato subito dopo aver letto dalle agenzie le stilettate di Giancarlo Giorgetti. Quelli che agitano strane ricostruzioni, che fomentano le paranoie del capo. E lui, che è il capo, vuole ribadirlo. Matteo Salvini risponde allora così, col tono di chi vuole stroncare sul nascere la polemica, e vuole farlo rivendicando la sua leadership. "Nella Lega che conosco io, ognuno sa stare al suo posto. E sono sicuro che questa sia la Lega che conoscono tutti". Tutti, ecco. E dunque anche quel Giorgetti che in effetti ieri lo ha contattato prontamente, non appena il pasticcio era stato acclarato (e prima di andare a cena con Luigi Di Maio, come se nulla fosse). E gli ha parlato di frasi estrapolate, di un ragionamento mozzato ad arte, di un'intervista che non doveva esserlo, perché "con Bruno Vespa avevamo concordato un colloquio informale, e invece". E invece ne è venuto fuori il più clamoroso atto d'accusa che Salvini si sia mai ritrovato a dover fronteggiare: perché, con toni tanto sprezzanti, con dichiarazioni così nette, più che una critica è parsa un'umiliazione, o comunque una delegittimazione. Bud Spencer, eccolo il leader della lega descritto dal suo vice: uno che sa solo menare cazzotti, uno che non riesce a capire le dinamiche politiche, specie quelle internazionali.

Perché lo ha fatto, Giorgetti? Paolo Grimoldi, deputato di peso ed ex segretario lumbàrd, uno che col ministro dello Sviluppo (che pure fu suo mentore) ha il dente avvelenato dopo la defenestrazione dalla guida della Lega lombarda, ai fedelissimi di Salvini ha detto la sua: "Giancarlo vuole sfidare Salvini a congresso". Giorgetti. Mettersi a fare la guerra sui delegati. Mettersi a contare le tessere. Figurarsi. Chi lo conosce, chi ci ha parlato in questi giorni, "dice che non gli passa neppure per l'anticamera del cervello". Così come si esclude, sempre parlando con chi bazzica il piano nobile del Mise, l'altra suggestione: quella, cioè, di un Giorgetti che di ritorno dall'America si sarebbe visto investito di un compito gravoso e prestigioso: "Vuole mandare Draghi al Quirinale per fare lui il premier", ringhiano ai vertici di Via Bellerio. E però anche questo, appunto, è un ragionamento che strappa solo sorrisi d'incredulità, nello staff del ministro. Semmai è un'altra la tesi che Giorgetti è parso accreditare, nei discorsi riservati dei giorni passati. E ha a che vedere col suo timore di restare isolato nel recinto sovranista, di finire oltre il "cordone sanitario" che anche a Bruxelles condanna il Carroccio nel girone dei reietti, insieme agli antieuropeisti di Marine Le Pen e di AfD. Per questo, con Matteo Renzi e a Carlo Calenda, due che spesso lo cercano e che spesso da lui sono cercati, Giorgetti vuole mantenere rapporti di buon vicinato. Sa che per le prossime sfide, partendo da quella del Quirinale, chi saprà attrarre a sé quel polo centrista avrà un'arma negoziale in più. "Per questo dobbiamo cambiare spartito, farci interpreti dell'agenda Draghi e nond i quella della meloni", ripete il vicesegretario del Carroccio.

Ma Salvini, che forse tentenna e mugugna quando è da solo, davanti ai suoi consiglieri si mostra saldo e risoluto. "Qui tutti sappiamo qual è il nostro ruolo", ripete. E lo dice sapendo che in tanti, anche tra chi ha stima e considerazione per Giorgetti, hanno ritenuto le sue uscite di ieri, sul libro di Vespa, un errore e uno sgarbo. "Una caduta di stile", si dice. "Una roba che non è da lui", si insiste. Perché la critica è un conto, la moral suasion è sempre stata uno strumento tradizione, di Giorgetti. "Ma questa è una cosa troppo grossa: e Giancarlo non può pensare di non metterci mai la faccia e di manovrare però Salvini come lui vuole", dicono nel quartier generale del salvinismo. Il tutto, alla vigilia del consiglio federale. "Dove tutti – lascia intendere Salvini  rientreranno nei ranghi. Perché nella lega è così che si fa".

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.