la manovra

Così il taglio delle bollette manda in cortocircuito gli ambientalisti

Valerio Valentini

I due miliardi contro il caro bollette sono, a rigore, uno di quei sussidi dannosi per l'ambiente contro cui il M5s e il ministro Giovannini da sempre si battono. L'ipotesi della convertibilità delle sovvenzioni. Cingolani: "Occhio, la transizione ecologica non si può fare alzando scriteriatamente le tasse"

Che l’aria stesse cambiando, Roberto Cingolani doveva essersene accorto già a metà ottobre. Quando, in audizione alla Camera, pronunciò delle frasi che solo qualche mese prima avrebbero scatenato la gazzarra degli ultras ambientalisti,  e che invece in quell’occasione vennero recepite come  considerazioni banali. D’altronde il ministro ne è convinto, e lo ripete spesso, che se è vero che la transizione ecologica non si fa col bla bla bla, “non la si fa neppure aumentando scriteriatamente le tasse”. E la legge di Bilancio varata giovedì  sembra dimostrarlo. 

La manovra stanzia infatti 2 miliardi per contenere il prezzo dell’energia. “Due miliardi che andranno a finanziare la riduzione delle aliquote Iva”, ha spiegato il ministro dell’Economia Daniele Franco in conferenza stampa. E forse i parlamentari grillini erano distratti. Loro, che fino a poco tempo fa accusavano lo stato, anche quando erano al governo, di “finanziare chi avvelena l’ambiente”, nulla hanno avuto da ridire. Eppure, a rigore, quel taglio d’imposte andrebbe considerato proprio così: come un incentivo a inquinare. Almeno stando al cervellotico Catalogo dei Sussidi ambientalmente dannosi (Sad), una lunga lista di misure a favore di imprese e cittadini che utilizzano fonti energetiche fossili o dall’alto impatto ambientale. Fino a oggi, fino a poche settimana fa perlomeno, era una delle letture di riferimento dell’ambientalismo di ogni colore, e di quello grillino in particolare. Al punto che sul Sacro Blog più volte si è prospettata una riduzione drastica di quei sussidi. Al punto che Sergio Costa, ex ministro dell’Ambiente in quota M5s, a metà settembre 2020 aveva ipotizzato di ridurli del 10 per cento all’anno, a colpi cioè di 2 miliardi per volta. Alla vigilia del varo della  legge di Bilancio, l’ultima dell’èra Conte, se ne uscì con la proposta di rincarare l’accisa sul gasolio per un totale di 5 miliardi. Poi Di Maio e compagni gli spiegarono che tanto sarebbe bastato per ritrovarsi con gli autotrasportatori in rodeo per le strade di mezza Italia, tipo gli amati gilet gialli francesi, e lui soprassedé. Ma aveva le sue ragioni: perché nel famigerato catalogo dei Sad c’è anche quello, tra le voci da abolire: gli “sgravi” sul diesel. O meglio, le accise più basse rispetto alla benzina. E non è l’unica delle apparenti aporie. Perché tra le misure nocive all’ambiente ci sono anche i sostegni per il rimboschimento delle aree colpite dalla Xylella in Puglia. E vengono messi all’indice anche gli aiuti alle imprese energivore, introdotti per evitare che le aziende costrette a consumare grandi quantità di watt delocalizzino verso paesi dove l’energia costa meno.   In totale, sono 19 miliardi di incentivi  che andrebbero tagliati.

Un approccio che  Cingolani non ha mai condiviso granché. “Dobbiamo certamente dare un segnale non ambiguo sul fatto che i sussidi ambientalmente dannosi vadano rimossi”, ripete il ministro della Transizione ecologica, “ma stando attenti  che gli interventi in tal senso non vadano a creare degli scompensi sociali”. Lo aveva ripetuto anche alla commissione Ambiente di Montecitorio, il 14 ottobre scorso, segnalando peraltro che la riduzione dei sussidi produrrebbe effetti “che sarebbero in questo momento quanto mai duri per categorie che  già hanno subìto il lungo periodo Covid”. Meglio, allora, seguire una via intermedia, che sa un po’ di trucco contabile, di gioco delle tre carte, ma che pure pare l’unica soluzione per superare questo paradosso ambientalista:  “Vogliamo tentare delle operazioni di intelligente ridistribuzione”, aveva annunciato il ministro. 

E un primo segnale in questa direzione lo si era colto nel Documento programmatico di bilancio, laddove si leggeva che “le entrate derivanti dalla revisione delle imposte ambientali e dei sussidi ambientalmente dannosi andranno utilizzate per ridurre altri oneri a carico dei settori produttivi” interessati. Insomma, con una mano lo stato ti aumenta le imposte sull’energia, con l’altra ti concede agevolazioni sul costo del lavoro o sull’Irpef. E’ questa, da lungo tempo,  la convinzione di Enrico Giovannini, per anni portavoce di quell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis) che proprio sul principio della riconversione dei sussidi ha spesso battagliato. E forse ci si aspettava che, divenuto ministro dei Trasporti, oltre a ribattezzare il suo dicastero consacrandolo alle Mobilità sostenibili, Giovannini avanzasse proposte concrete in tal senso. Cosa che però, almeno per ora, non è avvenuta.

Restano invece, quelli sì, i 2 miliardi di riduzione dell’Iva annunciati da Franco per ridurre l’aumento del costo  dell’energia. E si spera allora che almeno, ora che s’è capito che la propaganda contro il “caro bolletta” è più efficace di quella sui “sussidi velenosi” perfino per il M5s, lo zelo di chi vuole perseguire la transizione a colpi di ulteriori tasse possa placarsi un po’.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.