Il capogruppo al Senato di Iv Davide Faraone (foto Ansa)

Il colloquio

Faraone (Iv): "Ddl Zan? Il Pd di Letta ha giocato a mosca cieca con i diritti e ha perso"

Marianna Rizzini

Il capogruppo di Italia viva in Senato attacca i dem per la strategia fallimentare sul disegno di legge contro l'omotransfobia

È il giorno in cui la corsa del ddl Zan viene fermata in Senato, con 154 sì alla tagliola di Lega e Fratelli d’Italia e 131 no. Ed è il giorno in cui partono le accuse: il Pd contro Italia Viva, Italia Viva contro Pd e Cinque Stelle. Si poteva evitare?  Da Iv il capogruppo in Senato Davide Faraone definisce “surreale” quello che è accaduto: “Ma se il buongiorno si vede dal mattino, diciamo che i primi sospetti abbiamo cominciato ad averli lunedì mattina, quando il deputato semplice Zan ha iniziato le sue personali consultazioni aprendo di fatto un doppio tavolo di confronto: da lì in poi siamo entrati in ‘modalità surreale’”, dice Faraone, “finendo con lo showdown di mercoledì, con il voto segreto sulla tagliola. Due tavoli aperti, uno dal Pd e uno politico con tutti i presidenti delle forze  presenti in Senato, e tutto per giocare a mosca cieca con i diritti: una cosa scandalosa, indecente. E pensare che avevamo creduto davvero alle parole di Enrico Letta che, dal salotto di Fabio Fazio, aveva annunciato la sua volontà di aprire a un’intesa sul ddl Zan per portarlo a casa. Ci eravamo detti: finalmente finisce l’era del ‘o Zan o morte’ così come era finita quella del ‘o Conte o morte’. Macché”.

Come si è arrivati qui? Per Faraone è stata “una strumentalizzazione per farsi pubblicità, un marketing per capitalizzare l’esito elettorale, e dietro, per le persone, per i diritti, niente. La strategia vera si è vista a poche ore di distanza, quando ci siamo seduti al tavolo con Simona Malpezzi e Zan, con Monica Cirinnà che si agitava nei corridoi del gruppo del Pd”.

Alla nostra richiesta di entrare nel merito per discutere delle modifiche che avrebbero consentito al testo di passare l’esame dell’aula”, dice Faraone, “ci siamo trovati di fronte il solito muro. Poi il secondo muro, al tavolo politico con gli altri capigruppo. Vedendo come si era messa abbiamo dunque pregato tutti di prendere una settimana di tempo per continuare a cercare l’intesa: che senso aveva portare la legge a sbattere? Non era meglio proteggerla? Perché invece che sventolare bandierine e diritti le anime belle del Pd non hanno rinunciato alla roulette russa del voto segreto sulla tagliola? Per una prova di forza? Chi ci ha rimesso sono in primis tutte le persone che devono ancora avere a che fare con aggressioni omotransfobiche, noi legislatori avevamo il dovere di lavorare per loro, non di fare una prova generale del voto per il Colle”.

Il capogruppo renziano in Senato vede anche questo dietro a quella che gli pare “la strategia fallimentare del Pd, dietro l’arroganza di dire ‘abbiamo i voti’ quando sai benissimo dei mal di pancia che ci sono nel tuo e negli altri partiti: parliamoci chiaro, danno la colpa a noi ma è chiaro che i 23 franchi tiratori non hanno a che fare con Iv, ma sono nelle fila di chi ha blaterato e non si è preoccupato di fare bene i conti. E’ noto che il voto segreto apre qualunque scenario quindi non posso che leggere una volontà di affossare una legge che così com’era non andava bene a troppi: noi abbiamo sempre giocato pulito sullo Zan, aprendo un tavolo politico per una legge necessaria al paese”. Il problema sta nell’asse Pd-M5s? “Per colpa dell’inadeguatezza politica del Pd e ancora una volta per la sua inconcepibile sindrome del prigioniero che lo tiene legato al populismo, noi tutti abbiamo perso l’occasione di avere una legge per il contrasto all’omotransfobia: abbiamo lavorato mesi a migliorare il testo, aver buttato tutto al vento per una totale inettitudine di quello che si dice il partito di centrosinistra e dei diritti mi pare assurdo: già a luglio la votazione sulle sospensive a scrutinio palese era passata per un solo voto, questo avrebbe dovuto far riflettere”.  Come procedere, ora? “Riproporremo il testo Scalfarotto”, dice Faraone”, “testo che peraltro portava la firma anche di Alessandro Zan”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.