il retroscena

I tweet di Provenzano complicano lo scioglimento di Forza nuova

Valerio Valentini

La complicata trattativa tra Pd, Quirinale e Palazzo Chigi: sia Draghi sia Mattarella preferiscono attendere una sentenza dei magistrati, prima di dichiarare FN fuori legge. Poi però arriva il vice di Letta. E tutto s'ingarbuglia. Cronaca da Montecitorio

Il lavorio di retrobottega, a dispetto dei toni esagitati con cui lo si è descritto, era frutto di una trattativa delicata. Una triangolazione riservata che dai corridoi di Montecitorio portava a Palazzo Chigi, e di lì risaliva fino al Quirinale. Il tutto, insomma, su fili dell’alta tensione. Roba da andarci cauti, da pesare azioni e parole. “Poi, come spesso  capita quando la situazione è delicata, è arrivato Peppe Provenzano”. Enza Bruno Bossio, deputata del Pd che è stata tra le firmatarie della mozione a favore dello scioglimento di Forza Nuova, allarga le braccia. “Con quel tweet ha travisato il senso dell’iniziativa”. 

E il senso dell’iniziativa era, appunto, mettere fuori legge una forza politica neofascista, non certo di tracciare il perimetro di un non meglio precisato “arco democratico e  repubblicano”: quello da cui, non riconoscendo la matrice dell’assalto squadrista alla sede della Cgil, Giorgia Meloni si sarebbe posta al di fuori. Almeno a giudizio del vicesegretario del Pd. “E io, se uno che si chiama Provenzano propone di sciogliere cose, già di per sé mi preoccupo”, ringhia in Transatlantico Emanuele Prisco, patriota perugino di FdI. Ma al di là dei paragoni infelici, l’uscita improvvida di Provenzano sembra davvero aver avuto l’effetto di un sasso lanciato contro un alveare, almeno a giudicare dalla rassegnazione con cui, nel cortile della Camera, un manipolo di deputati dem conviene coi colleghi meloniani che sì, un po’ è vero quel che loro dicono: “E cioè che se il vicesegretario del partito che promuove una mozione coglie un pretesto per vagheggiare espulsioni dall’arco parlamentare dell’unico partito di minoranza – dice Walter Rizzetto – legittima il sospetto che tutta questa operazione sia finalizzata proprio contro noi di FdI. E dunque è evidente che non si possa costruire un fronte unitario, su questa iniziativa che, questa sì, ha contorni di fascismo”.

Di certo c’è che la mozione depositata alla Camera dal Pd sembra recepire le cautele espresse da Palazzo Chigi e dal Colle nelle scorse ore, e infatti chiede al governo di “adottare i provvedimenti di sua competenza per procedere allo scioglimento di Forza Nuova”. Senza, dunque, indicare quale delle due vie imboccare, ma di fatto rassegnandosi a quella più lunga. Quella, cioè, che non passa per un atto d’imperio del premier, ma che prevede un decreto ministeriale a seguito di una sentenza di un giudice. “La questione è all’attenzione nostra, ma anche dei magistrati che stanno continuando le indagini e formalizzando le loro conclusioni”, spiega Mario Draghi in conferenza stampa. Dando  consistenza a certi pettegolezzi di Transatlantico che raccontano della prudenza predicata dal Quirinale. E del resto Sergio Mattarella sa bene che negli unici tre  casi in cui nella storia repubblicana si è ricorsi alla legge Scelba per sciogliere partiti neofascisti, lo si è sempre fatto con atti del ministero dell’Interno che seguivano a una sentenza giudiziaria. Sia Taviani per Ordine Nuovo nel ’73, sia Cossiga per Avanguardia Nazionale tre anni più tardi, e così Bianco col Fronte Nazionale nel 2000: tutti attesero la sentenza di primo grado che condannava il tentativo di ricostituzione del partito fascista.  “Cosa che – spiega il dem Stefano Ceccanti – nel caso di Forza Nuova potrebbe avvenire anche nel giro di settimane, vista la gravità dei fatti”.

E forse insomma è anche in virtù di questa complessità delle cose, se alla fine  Provenzano ha dovuto rettificare. “FdI, con l’ambiguità nel condannare la matrice fascista si sottrae all’unità necessaria delle forze democratiche”, ha spiegato sui social. “E va riconosciuto che a farsi autogol mentre si tira un rigore a porta vuota nell’area avversaria ci vuole una certa abilità”, sorridono suoi compagni di segreteria al Nazareno. Del resto non è la prima volta, per lui, da quando è iniziata la sua resistibile ascesa nella scena politica italiana. Da ministro del Sud, nel settembre del 2020, ironizzò sulla collega dei Trasporti Paola De Micheli, chiedendole se tanto che c’era, sullo Stretto di Messina oltre al ponte, non volesse costruirci pure una funivia. Lei andò su tutte le furie e protestò l’allora segretario Zingaretti. Da vicesegretario del Pd, poi, nel giugno scorso Provenzano criticò Draghi per aver scelto degli “ultras liberisti” come consulenti economici per il Pnrr. E qui toccò a Letta intervenire per suggerirgli di correggere il tiro, tanto più che Provenzano chiedeva a Palazzo Chigi di “aggiornare le rubriche”, che però erano le stesse da cui, nelle stesse ore, in un’altra task force governativa per il Pnrr veniva scelta quella Silvia Scozzese che era stata sua capo di gabinetto al ministero. Ma Provenzano è così. “Quando la situazione è delicata, lui arriva”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.