il retroscena

Sulla legge elettorale Lega e Pd provano a costruire un'intesa

Valerio Valentini

Le trame di Calderoli, i colloqui riservati al Senato. L'ipotesi è quella di un proporzionale senza collegi e con premio a chi arriva al 40 per cento. "Ma si rispettano le coalizioni attuali", dice il leghista. La paura di Salvini si chiama "Ursula". Prove di bipolarismo

La consapevolezza che tra i leader di partito (tra i più accorti, almeno) si va diffondendo, sia pur dissimulata, è che in fondo il governo lo si debba tutelare. E lo si debba tutelare a lungo, fino insomma al 2023. “E siccome se ci si fa la guerra tra forze di maggioranza sul Quirinale e la legge elettorale il governo rischia di cadere, meglio trovare un’intesa”. O provarci, quanto meno. “E per provarci, bisogna convergere su un proporzionale che non sia puro, e che non rompa i legami tra le coalizioni. Sennò non se ne fa niente”. Il ragionamento, alcuni senatori del Pd, se lo sono sentiti fare da quel funambolico stratega che è Roberto Calderoli. E siccome il tono era serio, la riunione ristretta organizzata in una stanza riservata di Palazzo Madama aveva i crismi della solennità, il dem Dario Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali, s’è premurato di fare rapporto al Nazareno. Da cui è poi arrivato il mandato, sia pur con cautela, da parte di Enrico Letta: “Proviamo a trattare”. 

 

Non su entrambi i fronti, però. Nel senso che, per quanto riguarda il Quirinale, tutto è ancora troppo fumoso per poter essere descritto. Basterà dire, semmai, che né Calderoli, né Giancarlo Giorgetti, considerano troppo concreta l’ipotesi della salita al Colle di Mario Draghi, perché a renderla improbabile, per paradossale che sembri, sono stati proprio i suoi supposti promotori: “Se Salvini e Meloni da un lato, e Conte e Bettini dall’altro, auspicano l’elezione dell’attuale premier a presidente della Repubblica con lo scopo dichiarato di chiudere anzitempo la legislatura, stanno di fatto rendendo impossibile questo scenario”, ha spiegato Calderoli. 
Dove invece una bozza di intesa si potrebbe trovare, è sulla legge elettorale. A patto, però, che nessuno si intestardisca a imporre la propria soluzione preferita. “L’ottimo, in questo caso, è nemico del bene”, ha ammonito giorni fa Stefano Ceccanti, costituzionalista del Pd e spesso consultato da amici e nemici quando si arriva a parlare di questioni elettorali. Ce l’aveva soprattutto coi suoi colleghi di partito che continuano a vagheggiare la chimera di un proporzionale in purezza. “Chi evoca questa soluzione in realtà avvelena i pozzi e prepara la conferma della legge elettorale attuale”, ha avvertito. E d’altronde, lo stesso Calderoli, nei conciliaboli trasversali dei giorni scorsi, è stato chiaro: “Se tirate fuori la storia del proporzionale secco, a quel punto noi ci mettiamo di traverso e tutto resta così com’è”.

 

Va detto, in effetti, che la prospettiva di mantenere il Rosatellum non esalta certo Salvini. Che, con la sopravvivenza di un sistema che prevede l’assegnazione di un  terzo dei seggi sulla base di collegi uninominali, si vederebbe costretto a ingaggiare una guerra logorante con Giorgia Meloni per litigarsi candidati e posizioni blindate. E però nulla, per la Lega, sarebbe peggiore del rischio di vedere Forza Italia saltare la barricata e costruire insieme al centrosinistra quella maggioranza “Ursula” che lascerebbe i sovranisti fuori dal cordone sanitario: un’ipotesi che il proporzionale puro renderebbe più concreta. “Le coalizioni esistono, e vanno rispettate”, dice Calderoli. “E’ dalle coalizioni che si parte”, ripete Ceccanti. E l’intesa, in questo senso, potrebbe allora precipitare su un proporzionale senza collegi e con un premio alla coalizione: un premio che consegnerebbe il 55 per cento dei seggi parlamentari all’alleanza vincente che superasse il 40 per cento dei consensi (o che altrimenti si imponesse al secondo turno), con un principio non lontano da quello che caratterizzava l’Italicum renziano e, ancora prima, lo schema elettorale elaborato dal comitato dei saggi nominato da Giorgio Napolitano all’epoca del governo Letta. Il tutto, peraltro, con la non trascurabile garanzia di evitare che chi vinca possa stravincere, ottenendo dunque una maggioranza parlamentare troppo ampia.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.