(foto Ansa)

Viva il proporzionale

Massimo Morelli

Come rendere stabile un sistema considerato erroneamente precario

La crisi del Conte bis è molto di più di una crisi passeggera causata dalle decisioni di Renzi, motivate o meno. Rappresenta invece il momento del ritorno alla Prima Repubblica, con la riforma elettorale proporzionale ora quasi certa. Il governo Draghi che si va formando non avrà la riforma elettorale tra le priorità, ma la riforma elettorale si farà e sarà proporzionale puro con sbarramento. La Prima Repubblica (’48-’92) è stata caratterizzata da una sequenza di governi tutti centristi, fatto quasi inevitabile con un sistema proporzionale puro. C’era anche la protezione implicita americana, venuta meno con la fine della Guerra Fredda e la caduta del Muro di Berlino, ma anche il proporzionale puro da solo impedisce che i governi escludano il centro completamente, a meno che non ci sia una maggioranza assoluta e ampia di una lista elettorale unica. Mani pulite ha portato all’implosione del centro e alla stagione delle riforme elettorali più maggioritarie, che hanno favorito prima il bipolarismo e l’alternanza politica e poi l’entrata in campo di molteplici forze populiste, anche a causa di un peggioramento del funzionamento dello stato e della burocrazia, determinati essi stessi dall’instabilità politica.

 

Come mostriamo in un lavoro scientifico di imminente pubblicazione, nella Prima Repubblica i governi erano fragili, ma tutti i governi contenevano la Democrazia cristiana al centro e le politiche erano stabili. L’attività legislativa aveva continuità e programmazione. La crisi dei partiti e le riforme elettorali dell’inizio degli anni 90 hanno portato invece a un’attività legislativa eccessiva, con conseguenze drammatiche sulla qualità delle leggi, sul funzionamento della macchina dello stato e della giustizia. La permanenza media di un politico in Parlamento si è dimezzata nella Seconda Repubblica rispetto alla Prima, e la permanenza media in un progetto politico o partito è anch’essa crollata. Questi cambiamenti di aspettative, collegati anche al crollo anticipato di tre delle prime sei legislature della Seconda Repubblica, hanno cambiato molto gli incentivi dei politici, aumentando a dismisura l’impegno mediatico, a scapito della programmazione economica e politica e della qualità delle riforme. Oggi arriviamo alla chiusura del cerchio: abbiamo più che mai bisogno di stabilità politica e si torna al sistema elettorale proporzionale, che possa favorire il riformarsi del centro della stabilità. Dietro le quinte è chiaro che la richiesta esplicita e/o implicita di molti partiti è una riforma elettorale che permetta la creazione del centro per le prossime elezioni e dia un’alternativa alla coalizione di destra.

 

L’instabilità della Seconda Repubblica ha portato conseguenze disastrose sulla macchina dello stato e sul malcontento populista. Ma il suo fallimento non è necessariamente un passo indietro, bensì un esperimento fatto di porcelli e mattarelli, esperimenti di rattoppi e riforme pro domo castae, che hanno fatto salire l’antipolitica molto di più di Mani Pulite per sé. D’altra parte, la riforma elettorale proporzionale da sola non può bastare a garantire maggiore stabilità, perché il centro ci metterà del tempo a darsi una forma compiuta e una direzione coerente. Nell’immediato non sembra possibile che possa formarsi un centro così forte da diventare gravitazionale come era la Dc, ma un freno alla polarizzazione e alle derive identitarie potranno comunque determinarsi a causa del coinvolgimento di più forze politiche nella formazione dei governi. Affinché il ritorno al proporzionale possa determinare stabilità, occorrerà un’evoluzione dei partiti nella direzione di solidità, struttura, organizzazione e coerenza. Uno sbarramento del cinque per cento che riduca la frammentazione favorirà l’incentivo a costruire e solidificare i partiti al loro interno. I partiti possono guadagnare forza e contatto con la gente comune in forme moderne, lanciando idee come congressi virtuali semi-annuali con interventi della società civile e con discussioni aperte sugli obiettivi di lungo periodo sugli ideali, mettendo al bando dai congressi le discussioni sulle singole persone e convenienze di breve periodo.

 

Democrazia rappresentativa richiede presenza aggregativa dei partiti, con gestione e leadership non populista, bensì ispiratrice e una base più coinvolta nella determinazione degli obiettivi irrinunciabili. Il populismo ha vinto nei sistemi elettorali maggioritari dove la polarizzazione non ha trovato ostacoli. La tentazione dell’offerta populista non potrà che perdere forza se il ritorno al proporzionale con uno sbarramento alto favorirà una maggiore stabilità e coerenza delle politiche, con al centro uno sforzo serio di deliberazione sulle sfide del presente e del futuro. L’auspicio è che la competizione politica torni a essere sulla coerenza e lungimiranza e sostenibilità dei programmi.

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