Il leghista Molteni disobbedisce a Lamorgese e diserta il G7. Lo strappo di Salvini

Valerio Valentini

Il leader del Carroccio cerca l'incidente. Il suo sottosegretario al Viminale si rifiuta di andare a Londra a discutere di sicurezza internazionale e migranti. L'imbarazzo con la commissaria europea. Il disappunto di Palazzo Chigi. E intanto alla Camera va in scena il processo della destra sovranista alla ministra dell'Interno

Alle cinque del pomeriggio, mentre la sua diretta superiore è in Aula a subire le scomposte reprimende della destra sovranista, l’ammutinato del Viminale se ne sta lì, sorridente e svagato, ma di una svagatezza che tradisce un certo imbarazzo, nel cortile di Montecitorio. “Ma non dovresti essere accanto al tuo ministro?”, gli si chiede. “Eh, ciao”, taglia corto Nicola Molteni. E mentre a pochi metri da lui va in scena quello che dovrebbe essere il processo politico a Luciana Lamorgese, e che in verità si rivela uno spettacolo ben al di sotto delle aspettative (“Temevo ben peggio”, dirà la responsabile degli Interni ai suoi collaboratori), il sottosegretario leghista agli Interni parlotta col compagno di partito Raffaele Volpi, scherza perfino coi rivali del Pd come Emanuele Fiano. Del resto, ormai i rapporti con la ministra sono logori oltre ogni limite. Perché il limite è stato superato giovedì scorso, quando lo scontro tra la Lega e la capa del Viminale, trascendendo le già sgraziate dinamiche politiche, s’è fatto istituzionale. Al punto che perfino a Palazzo Chigi hanno fatto sapere a Salvini che ora basta, che oltre non si può andare.

 

Giovedì scorso, infatti, a Londra si è tenuto l’incontro dei responsabili di Interno e Sicurezza dei paesi del G7. E siccome le deleghe sulle Pubblica sicurezza le ha il leghista Molteni, era stato delegato lui a rappresentare l’Italia in quel consesso. La missione gli era stata assegnata con larghissimo anticipo, in effetti. E invece lui ha atteso l’ultimo giorno utile per comunicare che no, non era il caso, non se la sentiva, non poteva. E i motivi personali inizialmente addotti come giustificazione sono stati poi rimpiazzati da ragioni più politiche. Perché, oltre che a parlare di crimine organizzato e telematico, oltre a discutere di traffico di armi e contrasto al terrorismo, al G7 si discuteva anche di strategie condivise sulla gestione dei flussi migratori. E Molteni, lui che è stata la mano che ha scritto i decreti “Sicurezza” per Salvini, lui che rivendica la stagione dei “porti chiusi” vissuta dalla stanza dei bottoni del Viminale, proprio non voleva rischiare di dover  firmare una dichiarazione condivisa in cui si ribadisse l’importanza di  combattere il potere degli scafisti ma anche di tutelare i diritti dei soggetti fragili e dei richiedenti asilo. Né di certo Molteni voleva ritrovarsi faccia a faccia con la svedese Ylva Johansson, la commissaria europea agli Affari interni, pure lei presente all’incontro, che non più tardi di tre mesi fa la Lega attaccava accusandola di volere propiziare la “sostituzione etnica” degli europei favorendo l’immigrazione incontrollata. E insomma niente: Molteni marca visita, e diserta l’incontro. Costretto da Salvini, vociferano alcuni. “Ha fatto tutto da solo”, sospirano altri leghisti. Sta di fatto  che è toccato poi a Lamorgese rivedere la sua agenda, prendere un aereo all’alba e volare a Londra.

 

Un incidente istituzionale che ha allarmato anche Palazzo Chigi. Perché un conto è la polemica politica, pure quella condotta con toni e con tattiche alquanto scomposte da Salvini; un conto è il venire meno a impegni che, come nel caso del G7, hanno a che fare con la postura che l’Italia intende avere in campo internazionale. E insomma la diplomazia di Draghi s’è attivata, temendo forse un colpo di coda, o di testa, in quella che è stata una lunga, estenuante campagna di logoramento condotta da Salvini a Lamorgese. “La fermezza con cui il premier ha blindato la ministra in conferenza stampa, due settimane fa, doveva chiudere questa guerriglia quotidiana fatta sulla pelle del governo”, dice il deputato del Pd Enrico Borghi. E invece, sentendosi messo nell’angolo e col fiato sul collo di Giorgia Meloni alla vigilia delle amministrative, il leader della Lega s’è messo a sbracciare.  

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.