il retroscena

Così Lamorgese punta a ingabbiare Salvini. "Non è una questione personale"

Valerio Valentini

La ministra dell'Interno condivide il dossier migranti insieme a Gabrielli e ai servizi segreti. La regia europea di Draghi. La solidarietà di Di maio e Guerini alla responsabile del Viminale. Davvero il leader della Lega vuole aprire un conflitto con tutto il governo? Il nodo della delega a Molteni

La raccomandazione che dovrebbe eludere il conflitto politico è in realtà politica quanto mai. Perché in quella precisazione che Luciana Lamorgese ripete ai suoi collaboratori – “Questa non è e non deve diventare una questione personale” – non c’è solo la cautela di chi vuole tenere bassi i toni di una contesa che Matteo Salvini cerca invece di abbrutire, ma anche l’indicazione della strettoia in cui il suo avversario rischia di finire impantanato. Perché se la questione non è personale, vuol dire che allora gli improperi che il leader della Lega continua a rivolgere alla ministra dell’Interno coinvolgono tutto l’operato del governo, ne mettono in discussione la capacità di gestire un dossier che, come pochi altri, investe vari dicasteri. E non è un caso, del resto, se sia dalla Farnesina di Luigi Di Maio sia dagli uffici della Difesa guidati da Lorenzo Guerini sono arrivati nelle scorse ore attestati di rinnovata stima nei confronti della responsabile del Viminale. Che anche per questo attende al varco il suo rivale, e lo fa nel silenzio operoso di chi sta lì, dietro alla scrivania, anche a Ferragosto.

 

E dunque, se davvero l’invettiva leghista sopravviverà alla canicola, se si riproporrà anche alla ripresa dei lavori di settembre, non sarà certo Lamorgese a negare a Salvini il confronto che lui insiste nel chiedere. Vuole evidenziare l’aumento degli sbarchi rispetto a due anni fa? E sia. Ma nel dossier che i tecnici del Viminale condividono con i responsabili dell’intelligence sono indicati anche i nomi dei vari referenti tunisini, governativi e non, che nel passato recente garantivano una gestione ordinata delle partenze, e che con la crisi politica di Tunisi sono caduti in disgrazia; così come sono collassate molte delle strutture ricettive del sud-est del paese, tra Sousse e Sfax, che a lungo avevano  svolto una funzione di ricovero per molti aspiranti migranti, e che anche a causa del Covid sono rimaste inutilizzate. Senza contare, poi, l’incentivo alla fuga indotto dalla pandemia in tutta l’area del Sahel. Tutte informazioni note anche a Palazzo Chigi, ovviamente, dove il sottosegretario Franco Gabrielli, autorità delegata ai servizi segreti, segue da vicino la faccenda. E del resto qualsiasi critica sensata che Salvini volesse fare alla gestione dei flussi – a meno di non recuperare i vecchi tormentoni dei “porti chiusi” e dei respingimenti in mare – non potrebbe non tenere conto del fronte europeo, e della difficoltà con cui il governo italiano ha ottenuto ascolto al Consiglio europeo di fine di giugno.

 

Solo che lì, a perorare la causa di una  più equa redistribuzione e di un più massiccio piano di sostegni ai paesi del Nordafrica, c’era Mario Draghi in persona, che ha ottenuto in quel caso solo degli impegni di massima, in attesa delle elezioni tedesche di fine settembre. E certo, le promesse di Parigi e Berlino su una ripartizione paritaria dei salvati in mare (30 per cento per ciascuno dei tre grandi paesi, col 10 per cento lasciato ai “volenterosi”) sono state abbastanza fumose. Ma davvero Salvini, che coi palazzi europei, quand’era ministro, aveva una consuetudine non esattamente assidua, saprebbe ottenere di più?

 

E lo stesso, in fondo, vale anche per quella strana richiesta che dallo staff di Salvini viene fatta filtrare come un possibile compromesso: l’assegnazione delle deleghe sull’immigrazione al sottosegretario leghista Nicola Molteni. Perché la scelta di Lamorgese di tenere per sé la responsabilità del dossier politicamente più divisivo in questo governo così trasversale non è certo frutto di un suo capriccio, ma una decisione maturata in seguito a un accordo politico benedetto, oltreché dal premier, anche dal Quirinale. Se Salvini volesse rivedere quell’intesa, cosa ne direbbero gli altri partiti di maggioranza? Ecco dunque perché no, “non è e non deve essere una questione personale”. 

Di più su questi argomenti:
  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.