Lo sfogo

Orlando: "Non mi faccio fischiare dai licenziati"

Lo scontro con il Mise. Domenica sul palco per parlare ai militanti del Pd

Carmelo Caruso

Palazzo Chigi riscrive la bozza antidelocalizzazioni. L'indignazione del ministro del Lavoro: "Non posso fare lo schermo di tutti. Sono io che ho fatto visita ai licenziati"

E’ un ministro preoccupato ma non è il ministro del “castigo”. All’interno del governo Draghi c’è chi adesso non vuole più passare per lo sceriffo anti imprese e neppure per un curatore fallimentare, la faccia bastonata dell’esecutivo. Non sopporta più il racconto che viene fatto. E’ Andrea Orlando, ministro del Lavoro, e questo è quello che pensa e che finora non ha detto: “Non posso essere il ministro che prende i fischi per tutti. Non posso presentarmi di fronte ai cancelli e non dare risposte ai licenziati. Io non posso”. E’ andato a Firenze dopo la chiusura della Gkn, la multinazionale che in un fine settimana, e attraverso una mail, ha licenziato 422 dipendenti. Dice che la bozza antidelocalizzazioni, quella che è stata bocciata da Giancarlo Giorgetti, il ministro dello Sviluppo economico, che l’ha definita nient’altro che una bozza, nasce dall’indignazione che “mi sembra fosse un sentimento comune di tutti i ministri”. Ecco quello che ha confidato a chi in queste ore lo ascolta e ci parla: “Voglio ancora ricordare che solo poche settimane fa, tutta la politica era sgomenta. Tutti quelli che adesso mi danno del castigatore di industriali erano quelli che mi hanno chiesto di intervenire per non permettere più che questo si ripeta”. E’ nato così il testo che ha irritato Confindustria che con il suo presidente, Carlo Bonomi, ha parlato di atteggiamento “punitivo”. In queste ore viene riscritto con i tecnici di Palazzo Chigi.

 

Dal ministero del Lavoro non accettano tuttavia la versione de ministro leghista. Difende le ragioni dell’industria e non è questo che gli viene contestato. Si rimprovera altro: “E’ stato lui ad affidare alla sua viceministra, Alessandra Todde, del M5s, il compito di formulare la legge insieme a noi. E’ lei che ha la delega. Il problema è il loro e non il nostro”. Quando la bozza è stata stesa – e adesso anche al ministero viene definita “di impianto” e “in corso di definizione” e sicuramente migliorabile” – l’errore, se c’è stato (si crede) è averla fatta circolare e non aver trovato le parole migliori. Il ministero nega di averla diffusa.

 

E’ la circolazione che non ha gradito Palazzo Chigi. Il disappunto è duplice: sia per l’impeto degli industriali sia per questa cattiva abitudine perché “non si veicolano ‘quasi norme’. Non si scatena Confindustria su qualcosa che è ancora in corso d’opera”. La parola “mitigazione” si è trasformata infatti in “black list”, in una classifica di imprese da mettere all’indice. Era, ed è, un intervento di legge mosso dall’idea che le “imprese che fuggono e desertificano un territorio usando le nostre infrastrutture”, in pratica una specie di sacco. Risente degli studi del capo segreteria di Orlando, Matteo Bianchi. Dopo le polemiche è così cominciato un lavoro di revisione che sta coinvolgendo, proprio in queste ore, i collaboratori di Mario Draghi. Ieri una riunione si è svolta sempre a Chigi e ha coinvolto tecnici, Orlando e Giorgetti. Ma c’è altro.

 

Sulle spalle di Orlando si stanno concentrando tutti i dossier che occuperanno l’agenda dei prossimi mesi. Sarà lui il ministro a cui, fra poche settimane, tutti guarderanno. La sicurezza sul lavoro e poi la riforma degli ammortizzatori sociali. E’ una riforma collegata alle risorse che metterà a disposizione il ministro Franco che nelle stanze di governo viene chiamato “l’ottimo Franco”. Orlando non può permettersi lo scontro. Cerca la sponda del ministro della Salute, Roberto Speranza, con cui vorrebbe riscrivere il welfare. Di certo è che parlerà domenica ai militanti del suo partito, alla festa dell’Unità, e lo farà accanto a Maurizio Landini. Cercherà gli applausi della sua base dopo aver raccolto “in giro per l’Italia” i fischi che “non merito”.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio