L'asse con Merkel e l'intesa con Putin. Così Draghi prepara il G20

A fine settembre il premier volerà a New York per l'assemblea generale dell'Onu, che inizia il 21. Il forum straordinario sull'Afghanistan va organizzato prima, e non è facile

Valerio Valentini

I buoni contatti con Mosca. Il tentato blitz di Johnson stoppato grazie alla cancelliera tedesca. L'isolamento della Cina. Il risiko afghano visto da Palazzo Chigi, dove il premier studia le armi di pressione sui talebani ma ha un nemico: il calendario

La corsa è proibitiva perché impone cautela e sollecitudine in giusta proporzione. E insomma i lavori preparatori per il G20 straordinario, per Mario Draghi sono un piccolo rompicapo: interessi diversi da contemperare, divergenze da limare. Ci vorrebbe tempo. Solo che il tempo non c’è. E non solo perché la tregua che gli Usa hanno rinnovato coi talebani per garantire l’espatrio sicuro di migliaia di afghani, continua a traballare nella polveriera dell’aeroporto di Kabul. C’è anche il calendario a imporre una certa fretta. Perché il 21 settembre inizia al Palazzo di vetro la sessione finale dell’Assemblea generale dell’Onu: e Draghi, che ha in programma di recarsi fisicamente a New York e di cogliere l’occasione per un bilaterale con Joe Biden, sa bene che un G20 organizzato troppo a ridosso di quell’evento sarebbe alquanto bizzarro.

 

E dunque bisogna correre, stando attenti anche alle smanie di protagonismo di Boris Johnson. Il premier inglese puntava infatti a utilizzare la sua vetrina del G7 – che vedrà riuniti i capi di stato e di governo la prossima settimana – come forum decisivo nella controversia afghana, allargandolo anche a Cina e Russia.  Scontrandosi però con Angela Merkel, che di fare un favore al suo miglior nemico non c’ha pensato neppure, e s’è dunque rivelata la migliore alleata di Draghi.

 

L’altro aiuto, non proprio insperato, il premier l’ha ricevuto da Vladimir Putin. Se gli uffici diplomatici di Palazzo Chigi due giorni fa mostravano un entusiasmo che andava oltre la prammatica di rito, al termine del colloquio col Cremlino, era perché gli interessi della Russia tornano comodi al piano del premier. Mosca non ha interesse a occupare il polo opposto agli Stati Uniti in questa fase, ma preferisce giocare un ruolo più mediano, per certi verso ambiguo, ma comunque utile a ottenere la promessa di una certa intransigenza nei confronti dei talebani. Dialogare sì, ma solo a certe condizioni. E la visita a Roma del ministro degli Esteri Sergei Lavrov il 26 agosto servirà a rinsaldare quest’intesa tattica.

 

Neppure l’Arabia Saudita, a quanto pare, ha interesse a concedere spazio e riconoscimento ai talebani: e questa perplessità di Riad potrebbe essere una chiave di volta nei lavori preparatori in vista del G20 straordinario. Perché a quel punto, col Pakistan che forse verrà invitato nel ruolo di ospite d’eccezione ma che comunque verrà marginalizzato dalla presenza più ingombrante dell’India, la Cina non dovrebbe assumersi la responsabilità di offrire copertura, da sola o magari in compagnia della Turchia, al regime talebano. Più probabile che a quel punto il fronte della fermezza si compatti intorno alla necessità di pretendere garanzie reali da parte dei miliziani sul rispetto minimo dei diritti umani, sulla composizione di un governo “misto” (rappresentativo delle varie tribù e con esponenti dei precedenti esecutivi), sull’accettazione di osservatori internazionali – come l’Unhcr – in modalità stabile. E in quest’ottica, molto peserà anche la minaccia economica: il congelamento delle riserve monetarie afghane, tutte sottoposte a un controllo più o meno diretto di Washington, è solo il primo passo di una strategia che prevede anche il dirottamento dei fondi per la coesione destinati a Kabul verso i paesi limitrofi chiamati ad accogliere i profughi. E allora se il fronte della fermezza resterà compatto, il rischio di ricreare in Afghanistan il rifugio perfetto dei terroristi islamici potrebbe essere sventato. Questo, almeno, sulla carta. Ma Draghi sa che il sentiero è stretto. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.