L'analisi

Franco pensa al fisco, i partiti alle pensioni. La coperta corta del Mef

Valerio Valentini

Il ministro dell'Economia pensa a una riforma fiscale strutturale, ma servono 18 miliardi almeno e trovarli non è facile. Anche perché, intanto, l'asse tra Salvini e Landini su Quota 41 rischia di complicare le cose. Le proiezioni dell'Inps inviate a Via XX Settembre

Il fisco o le pensioni? Perché tutto, è chiaro, non si può. E però, siccome nella gazzarra politica non è mai la somma che fa il totale, ecco che Daniele Franco si ritrova a dover pensare alla prossima legge di Bilancio con l’ansia di chi già prevede la fatica, se è vero che l’ipotesi che a Via Settembre si rigetta risolutamente, quella del fritto misto, sarebbe forse la sola che permetterebbe di evitare troppe rogne: un poco per ciascuno, e nessuno che s’arrabbia. Invece i tecnici del Mef dicono che una scelta andrà presa. E bisognerà insomma capire su quale voce puntare i soldi. Sul fisco, in effetti, Franco è parso abbastanza determinato, nei conciliaboli a margine degli ultimi Cdm, nel ribadire l’esigenza di una “riforma sistemica”. La stessa che del resto prefigurava anche Mario Draghi nel suo discorso d’insediamento alle Camere. E dunque, prendendo per buone le stime che Luigi Marattin, presidente della commissione Finanze della Camera, ha confidato ai suoi colleghi di Montecitorio, servirà “almeno un punto di pil”.

 

Dunque 18 miliardi, grosso modo. E trovarli non è  semplice, di qui a dicembre. Anche perché vanno individuati nelle risorse ordinarie, e non tra i fondi del Recovery. In questo le previsioni sulla crescita aiutano, certo: perché se nel Def di aprile il governo stimava un incremento del pil del 4,5 per cento, la  Commissione europea ora pronostica un rimbalzo di almeno 3, forse anche cinque decimali in più. In termini di gettito, mal contati, sarebbero  3,5 miliardi.  A cui si potrebbe aggiungere almeno una parte di quei 9 miliardi che, stando al Def, il governo prevede di spendere in deficit, nell’ottica del “debito buono” caro al premier. E forse, continuando nella lista, ci si potrebbe impegnare a sfoltita alle tax expenditure,  che però, comunque, porterebbe a un risparmio, per così dire, di non oltre i 5 miliardi. Insomma, a quei fatidici 18 miliardi ci si arriverebbe assai a fatica.

 

Il tutto, però, senza considerare l’altra grande incognita, gravida di implicazioni politiche. Perché a dicembre scade la scriteriata Quota 100. E siccome quando si parla di pensioni l’asse della spesa allegra è trasversale, la convergenza apparentemente impensabile si va concretizzando, dalla Cgil fino alla Lega, passando per buona parte di Pd e M5s, intorno a Quota 41. Un’ipotesi dissennata, a giudicare dalle simulazioni che l’Inps ha fornito al Mef e che parlano di una spesa prevista di 4,3 miliardi per il 2022, e che a regime arriverebbe fino a circa 9 miliardi all’anno. All’opposto, la proposta meno esosa sarebbe quella di un sistema che preveda l’anticipo della quota contributiva, tramite ape social, a parte da 63 anni: 400 milioni nell’immediato, e  a regime tra 1 e 2 miliardi annui. L’orientamento del Mef sarebbe allora per una soluzione intermedia, che mantenga la quota dei 64 anni di età e i 36 di contribuzione ma con un ricalcolo complessivo tarato sul solo  contributivo: costerebbe subito 1,2 miliardi, per poi assestarsi tra i 3 e i 4 miliardi all’anno. Considerando che la prossima legge di Bilancio conterrà anche la riforma delle politiche attive e degli ammortizzatori sociali, non si può certo andare oltre queste cifre, per le pensioni. Prima, però, andranno convinti i partiti.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.