L'editoriale

La creatività che serve per spingere l'Italia riluttante a vaccinarsi

Il sindaco di New York De Blasio, deciso a pagare 100 dollari tutti i newyorchesi che decideranno di vaccinarsi

Claudio Cerasa

I privati lontani dallo sciocchezzaio populista: storie di aziende e associazioni  all’avanguardia sul green pass. E lo stato? Obbligo no, incentivi sì: un’idea per affrontare l’ultimo miglio della campagna

Incentivi, regole, creatività e una parola d’ordine senza la quale non se ne uscirà facilmente: più che affidarsi allo stato occorre affidarsi ai privati (e al denaro). L’ultimo miglio della campagna vaccinale, come ha detto su questo giornale una settimana fa il generale Figliuolo, dipenderà da molti fattori. Dipenderà dal buon funzionamento della macchina dello stato, dipenderà dalla capacità di andare a convincere uno per uno i non vaccinati, dipenderà dalla velocità con cui si andranno a immunizzare gli italiani più fragili, dipenderà dalla quantità di sciocchezze che i populisti riusciranno a non dire per non disincentivare ulteriormente i propri elettori a ricevere le proprie dosi di vaccino, dipenderà dalla capacità del governo di non ripetere più errori di comunicazione clamorosi come quello sulla seconda dose di AstraZeneca e dipenderà dalla capacità con cui le autorità sanitarie riusciranno a governare quella che il ministero della Salute tedesco ha già identificato come la quarta ondata. Dipenderà da questo, certo.

 

Ma dipenderà anche da un altro fattore importante: la capacità che avranno i privati di guidare la transizione dei paesi dalla stagione della pandemia di tutti alla stagione della pandemia dei non vaccinati. E i privati, negli ultimi tempi, anche in Italia, hanno mostrato, sul tema dei vaccini, di essere all’avanguardia e di viaggiare su una lunghezza d’onda lontana anni luce dallo sciocchezzaio populista. Qualche esempio. Pochi giorni fa, i giornali hanno raccontato il caso di un hotel di Milano, il Tocq Hotel, albergo storico in zona corso Como, che ha scelto di rendere obbligatorio il green pass per tutti gli ospiti dal prossimo primo agosto, in anticipo rispetto alla normativa che prevede solo dal 6 agosto l’obbligo di esibire il green pass in alcuni luoghi come bar o ristoranti (ma non gli alberghi), e il proprietario di questo albergo, chiacchierando con il Foglio, dice che renderà obbligatorio il vaccino anche per tutti coloro che alloggeranno nei suoi campus universitari (Campus X).

 

C’è questo caso ma c’è anche il caso di Sterilgarda, azienda alimentare di Castiglione delle Stiviere, nel Mantovano, che in una lettera inviata ai dipendenti ha dichiarato che “dal mese di settembre 2021, a chi risulterà privo di green pass per la mancata sottoposizione all’iter vaccinale” potrebbero essere “attribuite mansioni diverse da quelle normalmente esercitate e tali da escludere rischi di contagio per contatti con altri dipendenti”, arrivando a dire che se la modifica della mansione non fosse possibile “il lavoratore non verrà ammesso in azienda, con sospensione della retribuzione”. C’è il caso del capo di Confindustria Ancona, Pierluigi Bocchini, che ha detto di essere d’accordo non solo con chi propone il green pass per le aziende ma anche con chi propone “un vaccino obbligatorio per lavorare”.

 

C’è il caso della Cna nazionale il cui segretario Sergio Silvestrini proprio su questo giornale ha fatto un appello per incentivare la politica del green pass. C’è il caso degli artigiani della provincia di Varese ai quali la Confartigianato locale ha chiesto un parere sul tema dell’introduzione di misure più efficaci per favorire la vaccinazione dei dipendenti, compresa l’obbligatorietà, ricevendo il 57,6 per cento di pareri positivi (su 420 aziende consultate). C’è il caso della Noctis spa, un’azienda dell’entroterra pesarese, circa 150 dipendenti, che ha dato un incremento una tantum a tutti i lavoratori che hanno completato il ciclo vaccinale. C’è il caso della presidente della Fida Confcommercio, la federazione dei dettaglianti alimentari e della distribuzione organizzata, Donatella Prampolini, che ha detto di essere “favorevole all’obbligo del vaccino per il personale che lavora nei supermercati e nei negozi alimentari di prossimità”. C’è il caso, per uscire dai confini italiani, di Google, che ha posticipato il ritorno in ufficio per la maggior parte dei dipendenti, da inizio settembre a metà ottobre, dando più tempo ai lavoratori di vaccinarsi, condizione necessaria per tornare a lavorare in presenza da ottobre. Una scelta simile è quella fatta da Netflix, che richiederà agli attori e a coloro che vi lavorano fianco a fianco sui set americani di essere vaccinati, e una scelta simile, ancora, è quella fatta da Facebook, che ha comunicato di voler “richiedere a chiunque lavori in uno dei nostri campus americani di essere vaccinato”.

 

La Durst Organization, uno dei più grandi promotori immobiliari privati di New York City, ha chiesto a tutti i suoi dipendenti, tranne quelli in posizioni sindacali, di essere vaccinati entro il 6 settembre per evitare il licenziamento. Lo stesso, da settembre, farà un importante imprenditore ai vertici di Confindustria che sotto la garanzia dell’anonimato dice che renderà obbligatorio per chi lavora in azienda, per i fornitori, per chi fa le pulizie, essere vaccinato. Per una ragione semplice: osare sui vaccini è l’unico modo per non chiudere più le imprese e chi non lo capisce più che un amico oggi è un avversario dei ceti produttivi, e questo deve essere chiaro (venerdì scorso, Maurizio Landini, segretario della Cgil, ha affermato che non possono essere le aziende a licenziare coloro che scelgono di non vaccinarsi, scelta che in realtà un tribunale, quello di Modena, ha già considerato come valida, emettendo pochi giorni fa un dispositivo che ha dato a un’azienda, una casa di cura per anziani in cui lavoravano dipendenti di una cooperativa di servizi che si rifiutavano di vaccinarsi, la legittimità di sospendere quantomeno dal servizio e dalla retribuzione il dipendente che non vuole vaccinarsi: “Il datore di lavoro – si legge nell’ordinanza – si pone come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali e ha quindi l’obbligo ai sensi dell’articolo 2087 del Codice civile di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori”).

 

La creatività dei privati sarà centrale nella nuova stagione della pandemia, ma un ruolo importante lo avranno naturalmente anche gli stati con la loro capacità di saper studiare soluzioni creative per spingere i cittadini a vaccinarsi senza perdere più tempo. C’è chi lo farà inserendo una qualche forma di obbligo (in autunno, la Pubblica amministrazione che tornerà in ufficio, è la volontà di Renato Brunetta, dovrà farlo da vaccinata) e c’è chi lo farà utilizzando una qualche formula creativa come il sindaco di New York De Blasio, deciso a pagare 100 dollari tutti i newyorchesi che decideranno di vaccinarsi. Un’idea che nel suo piccolo anche il Foglio aveva lanciato mesi fa, suggerendo di sostituire per un anno il cashback con il bonus vaccini: 100 euro per 60 milioni di italiani sono 6 miliardi all’anno. Che diventano 4,2 con una copertura vaccinale del 70 per cento. Obbligo no, incentivi sì. Che aspettiamo?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.