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Gli opposti estremismi di Conte e Salvini spingono Draghi a rimandare la concorrenza a settembre

Valerio Valentini

Il premier voleva chiudere entro luglio. Ma il rodeo su giustizia e vaccini, coi contiani che tentano blitz al Senato e i leghisti in piazza coi no vax, lo induce a rimandare. Troppe tensioni in maggioranza. I bisticci con Giovannini, l'ostruzionismo di Giorgetti: Bruxelles può attendere

Alla fine il rinvio, come succede con le disgrazie inevitabili, s’è reso necessario nonostante nessuno lo volesse davvero. Di certo non lo voleva Mario Draghi, che a licenziare il disegno di legge sulla concorrenza entro luglio, rispettando così le scadenze fissate nel Pnrr, ci teneva sul serio, se non altro per evitare che i partiti iniziassero a considerare possibile scantonare rispetto agli impegni presi con Bruxelles. E però, se nel Cdm di oggi si eviterà, come pare, di affrontare il tema, rimandando così il tutto a settembre, è perché le tensioni politiche dentro la maggioranza, provata già dal rodeo grillino sulla giustizia, iniziano a farsi pericolose. E così al dinamismo dello schiacciasassi il premier ha preferito forse per la prima volta la  diplomazia della prudenza.

 

E dire che un estremo tentativo per scongiurare il rinvio era stato anche pensato. Dato che quella sulla concorrenza è - o dovrebbe essere, visto che dalla sua introduzione nel 2009 è stata poi rinnovata una sola volta nel 2017 - una legge con cadenza annuale, si sarebbe potuto intanto introdurre una prima serie di misure in questo disegno, per poi rimandare alcune delle questioni più scivolose al 2022. Era del resto già stato concordato, questo percorso graduale, con la Commissione europea, che aveva acconsentito anche tenendo conto delle difficoltà sociali ed economiche legate alla pandemia. Poi però l’espediente supposto stava finendo con l’alimentare più problemi di quanti consentisse di risolverne - coi vari ministri che si esercitavano in un’estenuante gara al rinvio, “Tanto possiamo riparlarne l’anno prossimo, no?” - e allora Draghi ha preferito temporeggiare.

 

Anche perché alcune complicazioni venivano poste anche da persone sul cui sostegno il premier s’è abituato a contare. Tipo quel Giancarlo Giorgetti che ha cercato di annacquare le norme sulla revisione delle concessioni idroelettriche, pretendendo che le competenze in materie delle regioni venissero tolte solo in caso di gravi inadempienze delle amministrazioni locali, e difendendo così una vecchia battaglia bossiana sul federalismo delle dighe, piccolo grande tesoro del nord. E una soluzione di compromesso il ministro dello Sviluppo la caldeggiava anche su questioni riguardanti le telecomunicazioni, per non dire delle norme concorrenziali sugli ambulanti, da sempre bacino elettorale caro a Matteo Salvini. Poi, assieme a quelle agitate dal Mise, c’erano altre questioni che riguardavano gli scali aeroportuali su cui anche i tecnici di Enrico Giovannini ponevano obiezioni.

 

Il tutto, peraltro, solo in sede ministeriale. Ma il timore vero di chi dirige i lavori a Palazzo Chigi, quando si parla di concorrenza e dintorni, s’addensa soprattutto intorno alle aule parlamentari, e ancor più nei corridoi delle commissioni, negli anfratti più riservati, quelli insomma dove più forte risuonano di solito le lamentazioni e le richieste delle varie associazioni di categoria, piccole caste gelose dei piccoli privilegi che l’assenza di libero mercato garantisce loro, e che sanno farsi ascoltare e assecondare da deputati e senatori. E d’altronde quanto sia accidentato il terreno che porta alla liberalizzazione di certi servizi Draghi se n’è accorto appena insediato a Palazzo Chigi, quando si ritrovò a prospettare la risoluzione dell’annosa faccenda delle concessioni balneari nell’architettura del Pnrr, e per poco non gli si rivoltò contro mezzo Parlamento: e così, anche in quel caso, approfittando della deroga alle procedure d’infrazione offerta da Bruxelles per via del Covid, il premier decise di scansare la rogna.

 

Pare che ci tenga, invece, a non desistere su una norma che dovrebbe, questa sì, essere inclusa nel disegno di legge sulla concorrenza. Quella che, al netto dei dettagli da definire, mira a introdurre una commissione governativa formata da alte professionalità indipendenti che provveda alla redazione di rose di nomi per ciascuna delle nomine da effettuare nelle varie authority, così da ridurre gli effetti nefasti della lottizzazione politica nelle agenzie che sulle scelte della politica sono poi chiamate a vigilare.

 

Anche di questo, però, si riparlerà a settembre. Sperando intanto che il passare della canicola, e l’effetto distensivo delle ferie estive, possano dissipare almeno in parte l’estrema conflittualità che s’è andata accumulando in questi primi, frenetici mesi di riforme. Il procedere con pragmatismo e risolutezza è stata finora la strategie scelta da Draghi per impedire che i mugugni e i puntigli di parte si trasformassero in veti e sabotaggi sull’azione dell’esecutivo.

 

E però quando ieri Marta Cartabia s’è ritrovata ad assistere al bisticcio tra il dem Franco Vazio e la grillina Giulia Sarti, convocati entrambi a Via Arenula per concordare la linea su alcuni emendamenti al ddl sul processo penale, s’è capito che c’è una stanchezza diffusa che rischia di degenerare in rissa. Senza contare, poi, le presunte astuzie degli opposti estremismi: come i nove senatori contiani che  hanno disertato il voto di fiducia finale sul dl “Semplificazioni”, o i parlamentari leghisti che hanno confermato la loro partecipazione alle manifestazioni di piazza contro il green pass, unendosi al coro di chi considera l’obbligo vaccinale al pari di una misura da regime nazista. Tutto considerato, per salvare la concorrenza, meglio aspettare.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.