Innovazione alla grillina

M5start up. Al Mise lascia in eredità radio e carrozzoni

Hanno confuso infatti lo sviluppo con il solito sotto-sviluppo, le risorse con le mance (e non si sa neppure a chi).

Carmelo Caruso

Si chiama Enea tech E' una fondazione privata ma foraggiata dal Mise in epoca Di Maio-Patuanelli. 500 milioni di dote per assegnare contributi e non si sa a chi. Un giocattolo targato M5s, diretto da un fedelissimo 5s. E volevano farsi pure Radio Mise

Roma. Hanno ragione loro. Ha ragione Beppe Grillo quando dice che il suo è un movimento di visionari. Il problema sono le allucinazioni. Hanno confuso infatti lo sviluppo con il solito sotto-sviluppo, le risorse con le mance (e non si sa neppure a chi). Hanno lasciato credere che i loro amici fossero i nuovi Steve Jobs all’italiana, ripetuto che serviva una fondazione (un’altra, l’ennesima) per favorire le idee degli startupper. Il problema è solo uno: lo hanno fatto servendosi della spesa pubblica.

 

Perché il M5s desiderava tanto il ministero dello Sviluppo Economico? Perché prima Luigi Di Maio e poi Stefano Patuanelli erano entusiasti di questo ministero? Lo erano perché era un laboratorio di creatività. C’è un formidabile esempio di come in questo paese si abusi della parola “tecnologia”, si farnetica di “innovazione”. Si tratta di una fondazione che di fatto è privata ma che usa denaro di tutti. E che denaro. Si chiama Enea Tech. Si muove con i benefici delle fondazioni, ma direttore e presidente sono indicati dal ministro dello Sviluppo Economico. A cosa dovrebbe servire? A gestire un fondo da 500 milioni di euro, a finanziare progetti e favorire trasferimento tecnologico. E’ stata fondata, per decreto (quello Rilancio) il 25 agosto dell’anno scorso su pressione del M5s. Quando è nata chi poteva dirigerla se non un uomo di provata fede? Patuanelli ha nominato il catanese Salvo Mizzi, un altro ingegnere del club Casaleggio. E’ uno che di mestiere è (dal suo cv) “italian internet pioneer”, anzi, per dirla come piace alle gente che piace: si occupa di “venture capital”. E uno pensa: benissimo. Ha svolto questo ruolo in Telecom. Ci ha provato in Invitalia con Domenico Arcuri tanto da inventarsi Invitalia Ventures. Ma il salto di qualità è avvenuto con questo ultimo incarico. Stipendio 230 mila euro. Nulla di male (ma non era il M5s che faceva la lotta ai super stipendi?).

 

Qual è tuttavia il vero nodo? La discrezionalità dei contributi che può assegnare la fondazione: da 200 mila euro fino a 15 milioni di euro. E ancora: davvero si avvertiva il bisogno di questa fondazione? La risposta è no. Questo è il paese dove le idee sono meno degli enti che sarebbero pronte a finanziarle. Prima di Enea Tech c’era già Itatech. Esiste il Fondo nazionale per l’Innovazione e, per fortuna, con alla guida una donna, Francesca Bria. Fanno tutti la stessa cosa come aggiunge Marco Calderini, ordinario del Politecnico di Milano: “Il nostro problema è che scimmiottiamo la Silicon Valley, facciamo la caricatura del giovane nel garage. Ma se un’idea è buona non serve il capitale pubblico. C’è già il capitale privato che è pronto a investire se solo vale la pena investire”. Perché allora costruire un terzo clone con un fondo di 12 milioni di euro per il solo funzionamento? Semplice: per ottenere consenso, garantire paradisi, contributi, a un mondo da sempre caro al M5s. E almeno si sapesse a chi sono andati questi contributi. La risposta è generica: a delle start up. Non lo sa neppure il ministero perché la fondazione è privata. Perché se ne parla adesso? Perché il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, ha deciso di cambiare nome alla fondazione (Enea Biomedical Tech) di riconvertirla e destinare una parte di risorse (200 milioni di euro) alla ricerca medica. Ed è qui che salta tutto. Il M5s scatena la rivolta da quarto stato, anzi, da quarto startupper. I parlamentari del M5s hanno presentato emendamenti per intimare la marcia indietro. La verità la dice chi lavora in questo mondo: “Enea Tech era un giocattolo del M5s e se solo avesse il coraggio di definirlo tale sarebbe tutto più facile”. Sapete quando si è cominciato a capire qualcosa, a conoscere i beneficiari? Quando si è detto che Enea Tech stava per cambiare. Allora sì che chi aveva ricevuto la promessa di finanziamento ha protestato. Nessuno a chiedersi: ma non si era forse esagerato con le promesse? Non servirebbe un criterio per stabilire la correttezza di quanto si assegna?

 

Dice sempre Calderini che, finora, più che una fondazione, questa Eneatech è stata “un porto delle nebbie”. Marco Cantamessa, docente del Politecnico di Torino, pensa invece che la soluzione migliore sarebbe “chiuderla e finirla con questa retorica delle start up che in Italia è solo marketing”. E a dire il vero qualcosa al Mise hanno chiuso. Era un’altra brillante trovata affidata a tale Francesco Vanin. Era arrivato al ministero in epoca Di Maio. Cv eccezionale come aveva notato, in anticipo, Il Foglio: chitarrista. Si definiva perfino “popstar mancata”. Gli avevano affidato il compito di costruire una radio interna: Radio Mise. Alitalia, Ilva, Whirlpool … e loro pensavano alla radio.

 

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Pubblichiamo di seguito una precisazione di Anna Tampieri, presidente di Enea Tech

Al direttore - Caro Cerasa, desidero intervenire dopo il vostro articolo di martedì su Enea Tech a firma di Carmelo Caruso, perché credo si debba ristabilire un po’ di verità, senza fare troppa polemica (non è nel mio stile e non serve a nessuno). In primo luogo vorrei dirLe che avete fatto male a buttarla in politica, indicando il nostro direttore generale come emissario di non meglio precisati disegni del M5S. Avete fatto male non solo perché non è vero (Mizzi ha servito da tecnico diversi governi succedutisi negli anni), ma soprattutto perché così si finisce per spostare l’attenzione dall’unico argomento serio (le politiche nazionali di lungo periodo a sostegno dell’innovazione tecnologica) per concentrarsi su beghe politiche (che tanto appassionano molti giornalisti). Ad ogni modo provo a dare un contributo nel merito, anche perché Il Foglio è da sempre impegnato sul fronte della buona informazione. Due sono i punti che mi stanno a cuore, a mio avviso sostanzialmente travisati nel vostro articolo. Il primo è relativo al lavoro svolto ed alla sua trasparenza: nessun finanziamento è stato sin qui deliberato (la struttura non è ancora pienamente operativa, indipendentemente dalle modifiche di legge oggi all’esame del Parlamento, perché banalmente il MISE non ha completato ad oggi le parti attuative necessarie per l’impiego del Fondo Trasferimento Tecnologico) e quindi non c’è proprio nulla da scoprire in tal senso, mentre posso garantirle che nella Fondazione sono già previsti tutti gli strumenti più avanzati di rendicontazione degli investimenti che verranno (in futuro, forse) via via decisi. Il secondo va al cuore del ragionamento del vostro articolo, suffragato da alcune affermazioni riportate nel testo da parte di un paio di opinionisti ormai specializzati nell’esprimersi in maniera apodittica e con particolare acrimonia sul “tema” ENEA Tech,  Voi sostenete in sintesi che non c’è motivo di sostegno pubblico (che a quel punto diventerebbe spreco) in presenza di idee vincenti, perché a sostenerle pensa spontaneamente il mercato dei capitali. Ebbene, caro direttore, le cose non stanno affatto così. L’intervento dei fondi pubblici ha proprio motivo di esistere quando le idee (progetti, spin-off o start up) sono ancora in una fase embrionale, lungi dall’aver reso evidente la loro profittabilità. Lì nessun altro può intervenire, tanto è vero che lo stesso fanno moltissime solide nazioni liberali, Stati Uniti in testa (circa 7 miliardi di dollari l’anno solo per due agenzie distinte, Darpa e Barda). Peraltro, se vogliamo dirla tutta, il modello americano (operativo da oltre cinquant’anni) ha trovato applicazioni originali anche in Europa, perché qualcosa di molto simile hanno la Francia e la Germania, mentre UK è partita da pochi mesi. La stessa commissione EU ha creato, su questo presupposto, EIC (European Innovation Council) con cui ENEA Tech aveva già stabilito un rapporto di collaborazione operativa. L’iniziativa italiana dunque è sensata, lungimirante e costruita su solide basi di confronto internazionale. Ora spetta a Governo e Parlamento generarne la versione rivista, quindi dobbiamo attendere ancora un po’ per capire definitivamente di quali strumenti ci stiamo dotando (come Paese intendo). Per parte mia, che vivo nel settore da decenni, posso solo dire da ricercatrice e scienziata che quanto fatto sin qui è cosa buona e giusta. Per chiudere, a questo proposito, ringrazio con umiltà e orgoglio le 1000 proposte di investimento che abbiamo ricevuto in appena tre mesi, superando ogni aspettativa. Sarebbe utile e importante pensare come essere concretamente al loro servizio e sostenere tutte quelle tecnologie strategiche di cui il nostro Paese, mi creda, ha urgentissimo bisogno.
Anna Tampieri, 
Presidente ENEA Tech

 

Nessun dubbio sulle buone intenzioni che confermano però alcune nostre perplessità. Dalla sua cortese lettera si capisce che Enea Tech è in pratica una start up di start up .
Carmelo Caruso

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio