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Cara sinistra, dov'è lo scandalo se un governo di transizione chiama tecnici neoliberisti?

Michele Salvati

Che in un esecutivo sostenuto da Salvini e Berlusconi ci siano due economisti vicini al Bruno Leoni non può essere una ragione di scandalo, è una  conseguenza dell’assetto liberaldemocratico e europeista che la politica italiana con molte difficoltà sta prendendo

Un governo di sinistra liberale ha due avversari, come sostengo con un collega in un libro che uscirà in settembre da Feltrinelli: i neoliberisti e gli etno-nazionalisti. Nella fase neoliberista del capitalismo internazionale, quella cominciata nei primi anni Ottanta dopo le vittorie nel ’79 di Thatcher e Reagan, sono state dominanti le teorie economiche e le idee politiche che l’istituto Bruno Leoni professa e propaganda. Dopo la crisi di questo regime politico-economico internazionale, con la Grande Recessione del 2007/2008 e poi la pandemia, nel libro prima menzionato sosteniamo che si sono create le condizioni per una nuova fase del liberalismo di sinistra, di “liberalismo inclusivo” come lo definiamo. Una fase inevitabilmente diversa, ma analoga a quella che era prevalsa nei trent’anni postbellici. Naturalmente i neoliberisti alla Bruno Leoni sono assai scettici al riguardo, ma sono pur sempre dei liberal-democratici. Gli avversari più insidiosi sono gli etno-nazionalisti, i movimenti politici di destra che tendono a prevalere sulle diverse forme di populismo (anche di sinistra) che la crisi sta provocando. E questi sicuramente non sono liberali.

Messe le mani avanti per dare un’idea della mia posizione politico-economica, veniamo alle peculiarità del nostro paese. In esso si sta giocando una importante battaglia locale nel contesto del conflitto internazionale tra regimi economico-politici. Do per note le vicende che hanno condotto al governo Draghi, un governo che include due importanti partiti di destra, e che è riuscito a spostare la Lega da posizioni etno-nazionaliste a posizioni (credibilmente?) liberal-democratiche. E a spostare nella stessa direzione i Cinque stelle che partivano da posizioni di confuso populismo, con l’aiuto del precedente e meritorio lavoro ai fianchi del Partito democratico. Ma non si tratta di un governo di liberalismo inclusivo, di sinistra liberale, come a me piacerebbe. E’ un governo di transizione, in attesa di una prova elettorale che conduca a un governo sostenuto da una chiara maggioranza elettorale, sperabilmente di destra o sinistra liberali. Come governo di transizione, esso si basa sul programma di NgEu e su riforme largamente motivate da ragioni di efficienza, orientate al lungo periodo, quelle che tutti i partiti hanno evitato di fare inseguendo un consenso elettorale a breve. Che è poi il motivo per cui periodicamente si creava la necessità di “governi tecnici”, di cui i partiti si sbarazzavano non appena finito il necessario lavoro impopolare.

I firmatari della lettera a Draghi sono in gran parte economisti. Molti tra i più vecchi li conosco personalmente e li stimo per il loro lavoro, e alcuni sono cari amici. Essi appartengono a varie sfumature della sinistra accademica e politica, persino alla mia, anche se in media sono più radicali. Io non so in risposta a quali domande ed esigenze Draghi abbia provveduto all’integrazione del dipartimento diretto da Marco Leonardi e a quali altri, anche più qualificati, abbia chiesto di partecipare: ma che in un governo di transizione sostenuto da Salvini e Berlusconi ci siano due economisti vicini al Bruno Leoni non mi sembra una ragione di scandalo, tale da provocare una levata di scudi così ampia. Anzi, mi sembra una conseguenza dell’assetto liberaldemocratico e europeista che la politica italiana con molte difficoltà sta prendendo: chi non ricorda ricorda i tempi di Borghi e Bagnai, due economisti vicini alle vecchie posizioni della Lega e dei Cinque stelle e che in questo governo non hanno alcun ruolo?

Farei un torto all’intelligenza politica dei miei colleghi firmatari se non li ritenessi in grado di valutare il contesto politico in cui le nuove nomine, e in particolare quelle di Stagnaro e Puglisi, hanno avuto luogo. Fingere di sorprendersi del legame inevitabile, nelle scienze sociali, tra posizioni teoriche e scelte politiche, o attribuire una scelta contraria alle proprie convinzioni a incompetenza o, peggio, a mancanza di trasparenza e integrità – una lettura della lettera non esclude questa interpretazione – credo sia un errore: c’è stato un lungo periodo in cui gran parte dell’accademia ha giudicato Lucas un economista migliore di Keynes! Speravo che in questi errori la sinistra non ricadesse più, memore degli avvertimenti di Luca Ricolfi (“Perché siamo antipatici”). Evidentemente mi sbagliavo.

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