il retroscena

Letta corre sul ddl Zan, ma al Senato è partita la conta dei franchi tiratori

Valerio Valentini

Il segretario del Pd ricorda i Dico e tira dritto, e pensa già al piano B: "Al dunque, si dimostrerà se Italia viva sta con la destra". Ma tra i dem i dissidenti sarebbero sei, in Iv otto. Il voto segreto è un'incognita. I dubbi di Marcucci e le manovre di Calderoli

Ai suoi parlamentari che gli chiedevano lumi, Matteo Renzi l’ha messa giù in modo allusivo: “Non vorrei che il gioco del Nazareno fosse diventato proprio quello di affossarlo, il ddl Zan”. Malignità, forse. Che però colgono un cambio di strategia che nella mente di Enrico Letta è reale: “Perché questa è una legge di civiltà e non una bandiera. Per cui – dice – no, non si cambia. Al dunque, ognuno si assumerà le sue responsabilità”.

 

L’obiettivo, insomma, è far vedere che l’azzardo della conta in Aula Letta non lo teme: e se l’incognita del voto segreto porterà ad azzoppare il ddl Zan, il segretario del Pd sa già come reagirà. Dicendo, cioè, che si è dimostrato una volta di più che Italia viva sta con la destra. Per questo giorni fa, di fronte ai primi mugugni di un manipolo dei suoi senatori, Letta ha chiesto la chiamata alle armi, con tanto di parallelismo storico. “Perché mi ricordo bene quando, da sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, mi ritrovai a condurre, su mandato di Romano Prodi,  la trattativa coi gruppi parlamentari per l’approvazione dei Dico. E l’affossamento di quel provvedimento – ha spiegato l’ex premier – ha segnato l’inizio della fine dell’Unione, perché le forze democratiche e progressiste non si dimostrarono all’altezza del cambiamento dei tempi”. Per cui no, non si molla di un centimetro: “Il ddl Zan va approvato così com’è”.

 

Solo che, così com’è, rischia davvero di non passare. Non alla prova del voto del 6 luglio: quando in commissione Giustizia si deciderà se mandare il testo all’esame dell’Aula. Il problema scatterà subito dopo: quando l’Assemblea di Palazzo Madama sarà chiamata a esprimersi su almeno una ventina di emendamenti – questi sono quelli preventivato al momento, ma potrebbero lievitare – su cui pende l’imponderabilità del voto segreto. E qui sta l’anomalia: perché la strategia di Letta, quella di andare allo scontro finale, è la stessa del manovratore principe della Lega, quel Roberto Calderoli che ha infatti già dato mandato ai suoi di non opporsi alla calendarizzazione del disegno di legge. “Li attendiamo in Aula”, se la ride sornione.

 

Sa, evidentemente, che nel fronte della vecchia maggioranza del BisConte, i potenziali franchi tiratori sono parecchi. “Almeno otto tra i nostri diciassette”, è il bollettino che fa chi ha parlato col capogruppo di Iv Davide Faraone. Ma non stanno solo lì, quelli tentati dallo strappo. Perché in effetti anche nel Pd si parla di almeno sei o sette dubbiosi. E certo, i sospetti del Nazareno gravitano tutti intorno ad Andrea Marcucci, perennemente accusato d’intendenza col nemico di Rignano. Anche se lui, almeno per ora, scuote la testa: “Io chiedo solo di non forzare le tappe, e di cercare un accordo politico che non consegni a Salvini la possibilità di calciare un rigore a porta vuota”. Ché questo sarebbe l’equivalente del voto segreto per il leader della Lega. E forse Marcucci non la dice tutta, la sua verità. Ma è pur vero che, al di là del tatticismo più cinico, vero o presunto, di chi punta a fare uno sgarbo a Letta, ci sono poi preoccupazioni sincere. Di esponenti cattolici dei dem, come Mino Taricco e Assuntela Messina, che le loro perplessità sul ddl Zan le hanno espresse pubblicamente coi loro colleghi. E perfino di femministe come Valeria Valente, che però mette le mani avanti: “Non nego che avrei preferito un sovrappiù di confronto e di mediazione, ma se ora siamo a questo punto, tra l’avere un ddl che non mi convince fino in fondo e il vederlo affossare, preferisco la prima ipotesi”.

 

La verità è che in effetti Letta al momento non ha altra strada che quella della prova di forza. Un po’ perché un ripensamento ora, fatto a seguito della reprimenda Vaticana, apparirebbe come un cedimento. E un po’ perché sa che, dopo l’intervento della Santa Sede, Salvini non avrà alcun interesse, adesso, a trattare su possibili correzioni, ma s’intesterà semmai la posizione dell’ala della Chiesa che si riconosce nelle posizione più conservatrici di Camillo Ruini. A meno che, per una strana eterogenesi dei fini, l’eccessivo clamore prodotto dalla nota verbale emanata da Oltretevere non produca, come sperano molti nel Pd, uno scantonamento da parte dello stesso Francesco. E ieri, le dichiarazioni del segretario di stato Parolin, per il quale la nota non andava pubblicizzata, hanno rafforzato questa convinzione dalle parti del Nazareno. “Ma per noi il ddl Zan non cambia”, insiste Letta. Che spera magari nel sostegno dei cespugli degli ex grillini del Misto e in quello di chi, come Matteo Richetti ed Emma Bonino, potrebbe forse compensare le defezioni interne. Sempre che poi il M5s tenga. Quando ieri alcuni senatori del Pd hanno provato a intercettare il capogruppo grillino Ettore Licheri, per avere da lui un riscontro, lui ha allargato le braccia: “Abbiamo problemi maggiori, ora”. La riunione con Beppe Grillo stava per incominciare.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.