Ciak Recovery

Non è cinema ma "modello Italia". La laurea di von Der Leyen a Draghi

A Cinecittà la Ue consegna la "buona pagella"

Carmelo Caruso

Per la presidente della Commissione Ue è "lode Italia". Le riforme approvate, i primi 20 miliardi che arriveranno nelle prossime settimane. Negli studi della Dolce vita, Mario Draghi disegna "l'alba della ripartenza"

Nella città dei sogni kolossal hanno presentato l’Italia a occhi aperti, immaginato il “paese domani”, quello con il sorriso stropicciato per la troppa contentezza. E sarà perché la luce si è davvero abbassata, ma qui, a Cinecittà, dove Mario Draghi, ha preso quasi per mano Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea che ci ha riempito di complimenti e assegnato 10 in pagella (“avete ispirato la Ue. Siete un modello per L’Europa. Il nostro appoggio è totale”), i giornalisti hanno cominciato a marciare a passettini, a fischiettare la musichetta di Ennio Morricone e poi quella di Nino Rota che però, si fa per dire, era solo da “otto e mezzo”. Al Teatro 10, tra colonne di finto marmo e  sedie da “maestro si gira”, se solo si fosse potuto, tutti avrebbero voluto saltellare e ringraziare l’Europa che ha parlato così bene di noi tanto da farci arrossire. 

 

Quando Ursula von der Leyen è arrivata ci ha come “graduato” in Recovery master: “Avete spiegato al il significato di solidarietà”; “avete soddisfatto gli esigenti criteri che abbiamo fissato”; “il vostro successo è il nostro successo”; “fra quattro settimane arriveranno i primi 20 miliardi”. Se si è scelto Cinecittà, questa Roma che è Tuscolana, ma in verità etrusca e monumentale, è perché, nella “missione uno” del Pnrr, quasi 7 miliardi serviranno (anche) a rifare gli studi del nostro “caro signor cinema”, quella impresa a cui Ennio Flaiano mandava lettere accorate da scrittore disoccupato: “Se non c’è film adatto alla mia persona, prego pigliarmi anche per guardiano”. E’ economia Italia guidata oggi, bene, dall’ad dell’Istituto Luce-Cinecittà, l’ad Nicola Maccanico. Non è stata una “baracconata”, come molti scettici temevano, il fuocherello di vanità di un presidente. E’ stato un assaggio di nuova vita, quella che Draghi ha definito “l’alba della ripresa”, dell’“Italia domani”, l’invito che sui pannelli, accanto ai faccioni di Toni Servillo e di Giulietta Masina, si traduceva in “rendilo reale”, “make it real”. La carovana di cronisti, che ha resistito anche al caldo e che è stata accompagnata sulle golf cart (ma nessun privilegio, solo l’esigenza della distanza), in alcuni casi si è felicemente perduta e ha confuso l’ingresso di via Lamaro. C’è chi è finito presso l’hub vaccinale del generale Figliuolo (“qui solo vaccini. Prenotati?”) e dunque potuto apprezzare quella speciale campagna che ha colpito perfino la presidentessa  “love Italia”.

 

Non appena è infatti  salita sul palchetto dello studio “Federico” (Fellini) dietro a uno sfondo azzurro da buona Europa, mentre la regia, discreta, suonava “Amarcord”, la  von der Leyen ha lodato la nostra logistica da vaccino: “State procedendo con velocità” e dunque “ti ringrazio, caro Mario”. C’era per la prima volta il “tu” come passaporto che ci vaccinava dal fare “all’italiana”, dal dovere inventarci la frase a doppio senso per strappare il mezzo sorrisetto, la consolazione ultima che sempre ci rimette al mondo: “E però nessuno se la cava come noi…”.

 

Con Draghi tutto questo non serve. Era la presidente della Commissione che lo cercava con gli occhi, come si cerca l’amico adulto, quello che conosce i protocolli, i tempi esatti. E ha ripagato l’intesa quando di fronte alla domanda “ma lei, miss Ursula, cosa ne pensa dell’ostilità del Vaticano sulla legge Zan?” (come se la von der Leyen dovesse interessarsi anche della nostra bottega parlamentare) ha così risposto: “Su un progetto di legge non facciamo commenti, anche se i trattati europei sono chiari”. Perché si scrive che questa conferenza non era il “guardate quanto sono bravo” di Palazzo Chigi? Perché si è consumato tutto secondo tempi strettissimi, quaranta minuti, e perché la pagella (di carta), che ha fatto la fortuna dei fotografi, non è stato nient’altro che il passaggio di un documento prezioso, una piccola promozione, ma non l’ebbrezza della promozione intera. E’ stato ancora una volta Draghi che, non c’è dubbio ha raggiunto l’immunità dall’applauso, a ricordare “che non basterà solo spendere bene, ma spendere in maniera onestà”, e ancora che “il governo italiano ha responsabilità nei confronti dell’Europa tutta”. Abbiamo contato per tre volte questo “piacere” dell’onestà e tre sono state le riforme che, insieme alla von der Leyen, Draghi ha elencato sempre porgendo la mano ai partiti che “hanno dimostrato  volontà politica”. Si tratta della riforma della giustizia, della riforma della concorrenza, della riforma dell’amministrazione per combattere la “storica abulia”. Bravi dunque, fa strano sentirlo, ma che male c’è? Non era la conferenza “amica” che serviva a fare stare bene Draghi, ma la “carezza continente”, che ha fatto bene a noi.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio