Il tripudio per la costituzione ambientalmente sostenibile è ingiustificato

Claudio Cerasa

La modifica alla Costituzione voluta dal Parlamento nasce da una causa nobile (proteggere l'ambiente) ma può diventare uno strumento pericoloso nelle mani di pm ideologici e ambientalisti estremisti

È stata accolta da un incredibile tripudio di retorica la “storica” decisione presa la scorsa settimana dal Senato della Repubblica di dare un primo via libera a un disegno di legge finalizzato a inserire in Costituzione la tutela dell’ambiente e delle biodiversità. A Palazzo Madama, come è noto, sul ddl costituzionale non c’è stato alcun voto contrario e d’altronde, si potrebbe pensare, che male c’è a votare sì a una legge che aggiunge nell’articolo 9 della Costituzione, oltre alla tutela del paesaggio e del patrimonio artistico della nazione, anche altre tutele: “L’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.

Quello che però molti commentatori inebriati hanno dimenticato di ricordare è che il ddl non aggiunge qualcosa solo all’articolo 9, ma anche all’articolo 41. E qui la questione è più complicata. L’articolo 41 della Costituzione afferma, già oggi, che “l’iniziativa economica privata è libera” ma il ddl aggiunge che l’iniziativa privata non può svolgersi in modo da recare danno “all’ambiente”.

A prima vista, anche qui, tutto bene, ma se si ha la pazienza di ragionare un istante si capirà che tanto bene non va. E si capirà, in particolare, che affermare il principio che ogni iniziativa economica privata non debba arrecare alcun danno all'ambiente significa voler spalancare la porta interpretazioni della legge di carattere squisitamente anti industriale. In natura non esiste una sola attività umana che potenzialmente non sia un piccolo o un grande pericolo per l’ambiente (anche inviare una email ha un impatto ambientale, per non parlare dei danni provocati all’ambiente dall'installazione delle pale eoliche e non staremo qui a discutere dei danni provocati anche dalle pizzerie con il forno a legna) e l’assurdità del principio inserito nel ddl costituzionale diventa ancora più evidente se si sceglie di dedicare qualche minuto al dossier elaborato dal centro studi del Senato per comparare su questo punto la legislazione italiana con quella degli altri paesi.

In Francia, per citare un esempio, la carta dell’ambiente, costituzionalizzata dalla legge costituzionale n. 205 del 1° marzo 2005, afferma che “la tutela dell’ambiente deve essere perseguita di pari passo con gli altri interessi fondamentali della nazione”. E nessuna grande Costituzione europea (neppure in Germania o in Spagna) contiene indicazioni che si prestano a essere strumentalizzate da chi sogna di trasformare la tutela dell'ambiente in un diritto assoluto, da difendere a discapito degli altri diritti. Il dettaglio non è irrilevante se si pensa al modo in cui le associazioni ambientaliste più intransigenti potrebbero usare il prossimo dettato della Costituzione per sommergere ancora più di oggi lo stato e le aziende di ricorsi e se si pensa al mondo in cui le procure più spregiudicate potrebbero usare quel passaggio per allargare ancora più di oggi le maglie dei cosiddetti reati ambientali. Assolutizzare un diritto (la difesa dell’ambiente) passando come un carro armato sopra ad altri diritti (la difesa del lavoro) è un film spesso proiettato sugli schermi del nostro paese ed è una pellicola che tornerà d'attualità nei prossimi giorni quando il Consiglio di stato dovrà esprimersi sulla sentenza del Tar di Lecce che ha disposto la chiusura dell'area a caldo di Ilva.

Nel 2012, il governo Monti sfidò la magistratura con un decreto (“Salva Ilva”) che consentì all’azienda la continuità produttiva nonostante il sequestro disposto dall’autorità giudiziaria che ipotizzava il reato di disastro ambientale. Nove anni dopo la domanda a cui la politica potrebbe rispondere potrebbe essere di nuovo la stessa: si può davvero  ovvero sostenere che non vi sia alcun interesse pubblico che possa essere superiore alla protezione dell’ambiente? Fino a quando la Costituzione non sarà cambiata, si potrà. Un domani chissà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.