"Giuseppe il prezzemolo"

Conte prova a condizionare le primarie del Pd. E nel Pd c'è chi non gradisce

A Torino il candidato promosso dal M5s arriva terzo su quattro. Così l'ex premier prova a sparigliare in Calabria e a Bologna. Ma tra i dem parte la gazzarra

Valerio Valentini

In Calabria l'ex premier non vuole le primarie, ma "un civico". E i dem calabresi scrivono a Letta. "E' un paradosso: dobbiamo sacrificare il nostro candidato perché non piace al M5s". A Bologna punta su Lepore: "Ci tratta come cavie", dice la renziana Conti. E poi c'è la rogna Raggi

La stranezza forse una spiegazione ce l’ha. “Quest’assurdità si capisce se si pensa che Giuseppe Conte ha paura che, se non dovessero esserci candidati vicini all’umore grillino, il suo ruolo di quasi-leader del M5s verrebbe compromesso”, dice Enza Bruno Bossio, deputata dem cosentina. E forse così assume una logica, questo strano attivismo dell’ex premier: che, pur ribadendo che il “suo” M5s avrà una linea diversa da quella del Pd, in un fine settimana di metà giugno s’è messo a dispensare opinioni sui candidati del Pd.

 

Perché un paradosso obiettivamente c’è, a guardare la faccenda dall’ottica dei calabresi. “E il paradosso è che noi, che siamo il Pd, dobbiamo sacrificare un candidato scelto unitariamente dal Pd perché non piace al M5s, da cui però non arriva alcuna indicazione su che idea hanno del futuro della nostra terra”, dice Antonio Viscomi, deputato di Catanzaro. Che domenica sera ha firmato anche lui, così come la collega Bruno Bossio e una buona dozzina di dirigenti locali del Pd, una lettera per chiedere a Enrico Letta di fare chiarezza, dopo che Conte, dal salotto di Lucia Annunziata su Rai 3, aveva in sostanza benedetto l’impallinamento di Nicola Irto in favore di una non meglio precisata candidatura civica. Dando il tutto, peraltro, come cosa fatta: “Sulla Calabria stiamo facendo un gran lavoro, insieme al Pd abbiamo costruito le premesse per avere un candidato comune, espressione della società civile”.

 

Ma non è una stranezza solo calabrese. Perché poche ore prima, con una lettera inviata al Resto del Carlino, l’ex premier s’era intrufolato anche nelle dinamiche assai controverse del Pd bolognese. “Solo che, mentre qui in Calabria il M5s, con Dalila Nesci, voleva partecipare alle primarie e invece lui non le vuole - allarga le braccia Viscomi, proseguendo nella descrizione del “paradosso” - sotto le Due torri, dove il M5s non ha mai voluto prendervi parte, lui indica per quale candidato votare”. E cioè per quel Matteo Lepore, già assessore con Virginio Merola, che il portacolori unitario dei dem, e che deve difendersi dall’assalto di Isabella Conti, sindaca di San Lazzaro di fede renziana. Una mossa, quella di Conte, non casuale. “Gliel’hanno chiesta dal Nazareno”, spiega chi gli sta vicino. E chissà se la richiesta è stata interpretata in modo troppo entusiastica, o chissà se c’è stato un cortocircuito tra Roma e l’Emilia, sta di fatto che un pezzo dei dirigenti locali del Pd è rimasto un po’ sorpresa. “Trop de zèle”, dicono nella giunta di quello Stefano Bonaccini che certo sostiene Lepore, ma che si guarda bene dal farsi vedere in giro a Bologna, in questo periodo, per non restare intruppato nel ginepraio locale. Trop de zèle è un po’ il pensiero, dicono, anche del segretario regionale Polo Calvano: in parte perché, configurando in modo così marcato Lepore come candidato “rossogiallo” rischia di schiacciarlo troppo a sinistra; e in parte perché l’endorsement per il candidato favorito è arrivato nelle stesse ore in cui questi denunciava “l’inquinamento da destra” delle primarie dem a favore della sua rivale Conti. La quale infatti scuote il capo: “Queste primarie hanno alcuni tratti singolari: il M5s – ci dice – non è in coalizione, il leader nazionale del partito sostiene il candidato del Pd perché vuole rendere Bologna un esperimento di alleanza in laboratorio e nelle altre città ha candidati contro il Pd come Virginia Raggi”.

 

Ecco, appunto, la Raggi. Altra nota dolente per Conte. Che infatti oggi sarà a Napoli, a conferire l’investitura a quel Gaetano Manfredi scelto come potenziale sindaco congiunto di Pd e M5s, ma che alla sindaca uscente ed eroina del grillismo intransigente ha concesso al massimo, finora, un post su Facebook. E non a caso. Perché la Raggi è evidentemente un ostacolo, sulla via dell’intesa tra Pd e M5s che dalle amministrative dovrà uscire solidificata, che sia al primo o al secondo turno. Ed ecco che allora Conte s’è attivato: s’è messo a impartire benedizioni e condanne ai candidati altrui, a fare il suggeritore esterno, a distribuire patenti di potabilità.

 

Sperando, beninteso, che altrove vada diversamente da com’è andata a Torino. Dove il sostegno del M5s, per bocca di Chiara Appendino e Laura Castelli, è andato a quell’Enzo Lavolta, esponente orlandiano, finito poi terzo su quattro. Dietro, cioè, non solo al candidato più centrista e meno filogrillino, e cioè Stefano Lorusso, ma anche dietro al civico Francesco Tresso sostenuto da Sinistra italiana, in una competizione mutilata dal flop dell’affluenza e condizionata più che altro da operazioni di piccolo cabotaggio locale. Solo che ora, lì come altrove, a Conte non resterà che sostenere col meglio della convinzione di cui è capace candidati destinati a incassare non più del 10 per cento, intestarsi una sconfitta per poi rispondere “ok” al prevedibile appello al voto utile che il Pd farà contro la destra. E allora si spiega anche l’eccesso di zelo di queste ore: meglio provare a sceglierli prima, i candidati del Pd, che doverli accettare poi.
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.