Il recovery e l'anticorruzione

La richiesta di assunzioni negata, poi l'attacco. Cosa non torna nelle critiche dell'Anac al governo

Valerio Valentini

A fine maggio Busia scrive ai tencici di Brunetta e di Draghi: "Ci concedete 32 assunzioni nel Pnrr?". La norma, già preparata, valeva 2,8 milioni l'anno. Poi parte la critica contro il decreto "Reclutamento", che non toglie alcun potere all'Anac, ma semplifica l'iter dei controlli

Più che il dispiacere, è la sorpresa. Perché che ci fossero delle resistenze da superare, nel tentare di semplificare la babele burocratica della Pa, Renato Brunetta lo aveva messo in conto. E insieme a lui i tecnici di Palazzo Chigi. E però l’uno e gli altri erano convinti che certe lamentele non sarebbero arrivate proprio da quell’Anac che, nei giorni in cui il famigerato dl “Reclutamento” s’andava definendo, aveva avuto modo di scrivere al governo: per chiedere, però, 32 nuove posizioni da funzionari.

 

Il più classico degli “assalti alla diligenza”, insomma: una di quelle pratiche che, in effetti, molti dei custodi dell’ortodossia anticorruzione stigmatizzano spesso con intransigenza. Ma si sa come va la politica. E si sa, poi, che le risorse del Recovery plan sono apparse un’occasione unica a tanti, animati magari dalle migliori intenzioni, per provare a rivendicare le proprie ragioni nel chiedere più personale e più risorse. E infatti a fine maggio, quando i consiglieri giuridici di Brunetta e quelli di Palazzo Chigi s’erano visti arrivare, direttamente dagli uffici del presidente Giuseppe Busia, una proposta di norma per autorizzare l’apertura di quelle 32 nuove posizioni di funzionari per l’Autorità nazionale anticorruzione, non s’erano certo scandalizzati. Avevano però convenuto che quell’aumento di personale, e quei 2,8 milioni all’anno che sarebbe costato, non rientravano in effetti tra le priorità che il Pnrr avrebbe dovuto soddisfare. E quando la richiesta era stata inoltrata ai tecnici della Ragionerie generale dello stato per un controllo finale, dal Mef la bocciatura era arrivata senza possibilità d’appello.

 

E certo, post hoc non necessariamente propter hoc, beninteso: non è detto insomma che gli alti ammonimenti di Busia contro il governo per quei “preoccupanti passi indietro sull’anticorruzione”, siano arrivati a causa del mancato esaudimento della richiesta dell’Anac. Quel che è certo è però che, fintantoché non è stato certificato il mancato inserimento delle assunzioni pretese nel decreto “Reclutamento”, in quel testo - che pure circolava da giorni tra gli uffici dei ministeri e delle amministrazioni pubbliche, e che nel frattempo veniva discusso dalla cabina di regia e dal pre consiglio, e poi approvato dal Cdm all’unanimità venerdì pomeriggio - nessuno aveva ravvisato quei “preoccupanti passi indietro”.

 

Ma certo anche i dubbi sulla tempistica delle critiche diventerebbero poca cosa, se di quelle critiche venisse riscontrata la fondatezza. E invece anche a guardarla da qui, la denuncia di Busia, subito rilanciata da mezzo M5s e da Giuseppe Conte in persona (forse dimentico di quando le “semplificazioni” le promosse meritoriamente il suo governo, quello rossogiallo, e l’Anac lo criticava con le stesse argomentazioni usate oggi contro Draghi e Brunetta), appare un po’ bislacca. Perché il tanto discusso articolo 6 del decreto, quello su “Piano integrato di attività e organizzazione”, non lede affatto la giurisprudenza anticorruzione: le norme e le linee guida indicate dall’Anac, anzi, saranno quelle che le amministrazioni pubbliche coinvolte nella realizzazione dei progetti del Pnrr dovranno seguire e far rispettare. Solo che, anziché chiedere ai dipendenti di scervellarsi dietro a 25 piani diversi - alcuni triennali e altri biennali, dalla programmazione infrastrutturale a quella sulla trasparenza, dalla gestione dei beni e servizi all’alienazione degli immobili, dai fabbisogni del personale all’alienazione degli immobili, passando per la sorveglianza sulla tariffa Tari e sulla razionalizzazione delle spese - riunisce tutte queste missioni di controllo sotto un unico piano razionalizzato e coordinato, il “piano integrato” appunto, su cui il dipartimento della Funzione pubblica di Palazzo Chigi, che è il massimo ente responsabile, dovrà sovrintendere e, nel caso di mancato adempimento, intervenire con contributo di nuovo personale o eventualmente sanzioni. E’ lo spirito delle semplificazioni normative e amministrative richiesto dalla Commissione europea, e benedetto anche da molti comuni, specie quelli medi e piccoli, che dietro agli obblighi procedurali dei vari piani spendevano di sé la miglior parte del tempo e delle energie.

 

D’altro canto, che il governo voglia soprassedere sul rischio della corruzione connesso al Recovery appare difficile da sostenere anche a giudicare dalla scelta di attivare, secondo gli impegni sanciti con Bruxelles nel Pnrr, anche un organismo di Audit sui progetti del Piano che prevede anche la firma di specifici protocolli d’intesa con la Guardia di Finanza e la stessa Anac. Senza contare, infine, che alla piattaforma del Mef su cui verranno monitorati i vari progetti, avranno libero accesso la Corte dei conti, i funzionari della Commissione e quelli degli organismi europei preposti alla vigilanza contro frodi e corruzione (Olaf ed Eppo). Mancano, certo, i 32 nuovi funzionari di cui l’Anac sperava di poter disporre. Ma forse può comunque bastare. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.