Dalla pochette alla t shirt

Anche per Conte è arrivato il momento della “maglietta”

Fabiana Giacomotti

L'ex premier si collega con il Corriere in maniche corte. È il tempo della leadership dei descamisados nazionali e va rivisto anche lo stile

Giuseppe Conte che si affaccia al collegamento zoom del Corriere della Sera indossando la t shirt a maniche molto corte e un po’ abbondante attorno al collo come un Salvini qualsiasi non sarebbe una notizia se fra gli anni delle Brigate Rosse e l’inevitabile passaggio alle brigate degli aperitivi, questo paese avesse mai letto il celebre saggio di John T. Molloy che modellò la generazione degli yuppies: “Dress for success” o, meglio “dress for the job you want”, “vestiti per ottenere il lavoro che vuoi”. E adesso che il lavoro dell’ex premier è la leadership dei descamisados nazionali par excellence, dei magliettari in ogni occasione, delle Taverna scarmigliate come le tricoteuses delle incisioni di Daumier e dei caprichos di Goya, state pur certi che vedremo molte magliette, e tutte girocollo: niente polo, che “fanno” subito Calenda e giro-Ferrari; soprattutto niente camicioni evocativi di altre stagioni politiche, altri mari e di molta Sardegna.

 

Anche per Conte è arrivato il momento della “maglietta”, la sua fina e un po’ lucida e giureremmo che trattasi di jersey di cotone mano raso come l’elegante per antonomasia della t shirt, Giorgio Armani, non indosserebbe mai perché lucida per carità, e abbondante e sbrindellata non sia mai. Perfino le t shirt necessitano di riflessioni e proporzioni, soprattutto oltre la famosa certa età, che fra le tante disgrazie include la verifica costante della tonicità dei bicipiti prima di optare per la manica corta, quella cortissima, la mezza manica o la manica lunga arrotolata, ed è evidente che Conte, alle sue magliette, non abbia ancora dedicato il tempo di riflessione necessario.

    

Comunque è andata. Il tempo di un’intervista via Zoom e ci siamo persi la metafora dell’uomo con la pochette. Duecentotrentanovemila risultati di Google polverizzati, quattro anni scossi via nel gesto con cui i gran signori di un tempo agitavano il riquadrino di seta come prestigiatori e poi zac, lo infilavano nel taschino come una pensée (e per favore non togliete la seconda “E” che poi per finire nell’avanspettacolo della bella pensé che tieni/che bella pensé che hai è un attimo).

   

La pochette di Conte non era rigogliosa, a fiore, la pochette sbarazzina dei nobili, specie napoletani, specie del sud ancora e sempre borbonico, quel genere di pochette che i francesi definirebbero insouciante. Era la pochette a lista, ripiegata, bianca; la pochette Anni Cinquanta del commendator Meneghini anzi Meneghini Callas: quella corretta, borghese, dell’uomo arrivato ma con un nome ancora da costruire e una storia da raccontare. Era la pochette che nei commendatori di un tempo si accompagnava con la lobbia e in quelli di oggi con le stesse francesine nere lucide che sono state appunto fino all’altroieri accessorio imprescindibile anche dell’avvocato Conte, e ci piacerebbe tanto sapere quali capi indossasse ieri oltre alla t shirt, se un paio di bermuda da rientro dal ponte “della Repubblica” e magari un paio di sneaker o di sandali francescani in cuoio, che però e in effetti sono più scelta della borghesia di sinistra del nord dunque no, potremmo scommettere che indossasse un paio di mocassini di camoscio con la suola morbida, sempre blu, un po’ consunti, da borghesia bene di Roma centro, che è poi il cloud semantico di riferimento della fidanzata Olivia Paladino.

  

Siamo pronti anche a scommettere che le giacche di Conte si faranno meno lucide e setose, meno blu oltremare come si predilige al sud, e più grigio scuro come è consuetudine altrove. Il processo di transizione di Luigi Di Maio, per dire, è quasi completato perfino nelle cravatte. Comunque, consiglio da navigati del settore: se volete capire dove un uomo voglia andare, osservatelo dalla cintola in su, come Farinata degli Uberti. Ma se volete sapere da dove arrivi, guardategli le scarpe. 

 

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