Il fenomeno

Ora di svolte nei Cda

Nelle maggiori società quotate, il vecchio cda presenta la lista del nuovo cda. Giusto o sbagliato? Per Vegas, ex presidente Consob il rischio è l'autoconservazione e il perpetuarsi dei vecchi poteri

Roma. Nelle assemblee della maggiori società quotate ha debuttato un nuovo strumento di governance che consente al consiglio d’amministrazione uscente di presentare una propria lista per il nuovo cda e c’è chi vi ha visto più che una “best practice” uno strumento di autoconservazione. Ferruccio de Bortoli, ex direttore e oggi commentatore del Corriere della Sera, ha scritto che le vicende di Generali, la cui assemblea si è tenuta il 20 aprile, sono lo specchio del perpetuarsi di vecchi poteri che si scontrano con vecchi avversari, nella fattispecie Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio da una parte, l’ex salotto buono Mediobanca dall’altra.

 

La Luiss, l’università della Confindustria, si è chiesta ieri, in un convegno ambizioso, quanto  effettivamente benefico ci sia in questa pratica. Per dirla con la presidente Paola Severino “quanto quella sia una lista del consiglio o per il consiglio”, cioè per mantenere piuttosto che innovare. Sono stati fatti esempi. Andrea Zoppini, ordinario di diritto privato a Roma 3, ha citato come modello virtuoso Tim, dove il 31 marzo dopo il disimpegno del fondo Elliott, il cda uscente è riuscito a farne nominare uno nuovo tutto di consiglieri indipendenti, benché in esso si rispecchi il nuovo ruolo di Cassa depositi e prestiti. Ma, tra gli altri, Giuseppe Vegas, ex presidente Consob e docente alla Cattolica di Milano, si chiede se non si tenda invece ad accentuare l’autoconservazione del management, “un rischio di declino del quale non abbiamo proprio bisogno”.

 

La nota positiva l’ha portata Alessia Mosca, ex parlamentare Pd, oggi nel consiglio d’amministrazione di Credit Agricole e cofirmataria con Lella Golfo, ex Pdl, della legge che dal 2011 impone la presenza femminile nei cda: in dieci anni l’Italia è passata dalla retroguardia alle prime cinque posizioni al mondo per posizioni di top management femminile “un fatto non solo numerico, ma di qualità”. Nel frattempo, Generali docet, è chi ha soldi per comprare azioni a guidare le danze. E, almeno tra quelli di passaporto italiano, sono i soliti, e non è certo un delitto. Magari un peccato. Il messaggio è chiaro: una classe dirigente che vuole far fare un salto in avanti alle sue aziende non deve avere paura a combattere l’autoreferenzialità delle governance. Chissà a quanti oggi fischieranno le orecchie.   

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