Di Maio si fa i conti

Luciano Capone

Il ministro si occupa della guerra Israele-Hamas e lascia a Conte quella M5s-Rousseau. Impegnato com’è nella diplomazia internazionale, Di Maio sta alla larga dal vicolo cieco in cui lui stesso ha infilato il M5s

“Deve essere compiuto ogni sforzo per evitare un’estensione del conflitto. E’ quindi cruciale che le parti si astengano da ogni atto di violenza, provocazione e incitamento all’odio”, ha dichiarato Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri non si riferisce allo scontro tra M5s e Associazione Rousseau, ma alla guerra tra Israele e Hamas. Da quando, 16 mesi fa, togliendosi la cravatta si è dimesso da capo politico del M5s, Di Maio non si occupa più delle beghe di partito ma solo di questioni di politica internazionale. Ieri, alla Camera, durante l’informativa su Medio oriente e Libia ha indicato la strada per arrivare a una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese e l’altro ieri ha incontrato il ministro degli Esteri iraniano Zarif per parlare del dossier nucleare, due questioni che al momento sembrano meno incasinate della surreale disputa tra M5s e Davide Casaleggio.

 

Di Maio, dalla sua postazione alla Farnesina, vola alto. E ha lasciato nella palude, a cercare di sbrogliare l’intreccio legale, il povero Giuseppe Conte che da leader in pectore è ormai immerso nelle sabbie mobili delle diffide, dei ricorsi al Garante per la privacy e ai tribunali per insediarsi formalmente alla guida del M5s. Per prendere cioè quel ruolo di rappresentante legale che il tribunale di Cagliari ha affidato a un avvocato-pastore sardo nominandolo curatore speciale. Eppure anche l’Avvocato del popolo, professore di Diritto privato e principe del foro, ha difficoltà a venire a capo di una situazione che è il prodotto delle regole definite da Di Maio.

 

La situazione, unica al mondo, è quella di un partito, la principale forza parlamentare e di governo, che non è in grado di eleggere i propri vertici perché non sa chi sono i propri iscritti. L’elenco è in mano a un fornitore, Casaleggio, che non vuole consegnarlo a nessuno in quanto il rappresentante legale del partito, Vito Crimi, è decaduto. Ad aggiungere un pizzico di ridicolo a questa vicenda surreale c’è Crimi che, da gerarca minore, manda tre persone nella sede dell’Associazione Rousseau per prendere fisicamente l’elenco degli iscritti al partito, come se fosse un elenco telefonico o una rubrica, ma i tre inviati trovano l’ufficio chiuso: sono tutti in cassa integrazione proprio perché il M5s guidato da Crimi non paga da un anno il suo fornitore. Per poter quindi ricevere da Casaleggio i nominativi degli iscritti, il M5s dovrebbe eleggere i nuovi vertici del partito che poi sarebbero titolati a recidere i legami con l’Associazione Rousseau redigendo un nuovo statuto. Ma per poterlo fare bisogna indire un’ultima votazione sulla piattaforma Rousseau, cosa che Casaleggio non intende concedere se prima non vengono saldati i debiti di circa 450 mila euro.

 

E’ in questa ruota che, da mesi, Giuseppe Conte gira come un criceto senza venirne a capo. Neppure l’integrazione del team legale del M5s con avvocati di sua fiducia pare, al momento, aver portato frutti. Di tutta questa vicenda, impegnato com’è nella diplomazia internazionale, Di Maio si disinteressa, stando alla larga dal vicolo cieco in cui lui stesso ha infilato il partito. Perché la situazione attuale del M5s è figlia di un’architettura istituzionale elaborata da Di Maio e Casaleggio. O meglio, elaborata da Casaleggio e firmata da Di Maio. E’ con lo statuto del dicembre 2017 che Di Maio e Casaleggio si dividono il potere: il primo diventa “capo politico” e il secondo lega mani e piedi del M5s alla sua associazione privata.

 

Probabilmente, firmando quello statuto, Di Maio non si era neppure reso conto delle implicazioni giuridiche che ora stanno logorando la leadership di Conte. Ma non è detto che non gli dispiaccia.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali