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Bella questa Italia, da sfogo dell'estremismo a diga degli estremismi

Claudio Cerasa

Solo tre anni fa il nostro paese era il più grande laboratorio del populismo europeo. Oggi, tutti con Draghi, che rappresenta l’esatto opposto. E riusciamo anche a non farci irretire dalle follie della cancel culture

L’articolo che state per leggere non parte da una teoria precisa ma parte da una serie di fatti interessanti che riguardano un piccolo mistero della recente storia del nostro paese che merita di essere indagato e che coincide con il tentativo di rispondere a una domanda tanto precisa quanto provocatoria: come è potuto succedere che nel giro di pochi anni l’Italia da paese zimbello d’Europa sia diventata un paese modello?

 

I fatti che meritano di essere ricordati riguardano non solo un tema legato alla politica ma anche un tema legato alla nostra società, alla nostra cultura, ai nostri costumi e al nostro spettacolo e vale la pena provare a mettere in fila tutto per dare la dimensione del fenomeno di cui stiamo parlando. Dal punto di vista politico è abbastanza impressionante quello che è successo dal 2018 a oggi. L’Italia, tre anni fa, era il più grande laboratorio del populismo europeo ed era stata adocchiata da tutti i manigoldi dell’internazionale nazionalista per provare a fare del nostro paese il perfetto cavallo di Troia dell’anti europeismo

 

Doveva essere, l’Italia, una serpe in seno per l’Europa, doveva essere la portaerei del putinismo, del trumpismo, del lepenismo, dell’indipendentismo. Doveva essere, l’Italia, l’avamposto dei nuovi cialtronismi digitali, dei nuovi ed ennesimi tentativi di aprire la democrazia rappresentativa come una scatoletta di tonno. Doveva essere, l’Italia, l’avamposto di una grande decostruzione del  sistema politico occidentale, il laboratorio che avrebbe dovuto mettere i vecchi partiti nelle mani dei nuovi movimenti. E invece, tre anni dopo quelle elezioni, e con una pandemia di mezzo, l’Italia si presenta oggi agli occhi dell’Europa come un paese a tratti miracoloso. I partiti populisti che volevano uscire dall’euro e dall’Europa oggi vogliono non solo Mario Draghi per qualche mese a Palazzo Chigi ma lo vogliono per sette anni al Quirinale. I partiti populisti che volevano scardinare la destra e la sinistra oggi vogliono non solo costruire alleanze strutturali con la vecchia sinistra, il Pd, ma cercano anche un modo per trovare una casa stabile in Europa, che somiglia ogni giorno di più alla casa dei socialisti europei. La democrazia rappresentativa che doveva essere aperta dai populisti come una scatoletta di tonno oggi è diventata anche per gli ex populisti l’argine contro i nuovi populismi. I populismi di un tempo oggi fanno a gara per allontanarsi dal populismo, almeno a parole, e cercano, proprio loro che del populismo avevano fatto un tratto distintivo, di delegittimare gli avversari accusandoli di essere troppo populisti, arrivando al punto di dimenticare persino le cose fatte nella stagione del populismo al governo (Salvini inveisce contro l’abolizione della prescrizione, approvata da Salvini; il M5s inveisce contro Quota 100, approvata dal M5s; Giuseppe Conte inveisce contro chi chiude i porti, dimenticandosi che fu proprio il suo governo a chiudere i porti). E, ciliegina sulla torta, il Parlamento nato per dare spazio alle teorie dei no vax, alla cultura anti sistema, alle istanze anti europeiste, alle pulsioni anti euro, alle dottrine del complottismo e alle idee bizzarre sull’allunaggio che mai ci fu davvero, sulle scie chimiche che minaccerebbero la nostra vita e sulle sirene che sarebbero a un tiro di schioppo dalle nostre vite è lì, incredibilmente, a votare in massa la fiducia a un presidente del Consiglio, Mario Draghi, che rappresenta l’esatto opposto di quello che sognavano i populisti per il futuro dell’Italia. Per non parlare del fatto che rispetto ad altri paesi europei l’Italia di oggi – Italia che la scorsa settimana è stata ringraziata anche dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che nel suo discorso di apertura della Conferenza sullo stato dell’Unione organizzata dall’Istituto universitario europeo di Firenze ha riconosciuto che il nostro paese a inizio pandemia aveva ragione a chiedere il coordinamento dell’Ue – è un caso più unico che raro non solo per la mole immensa di soldi che riceverà dall’Europa nell’ambito del piano Next Generation Eu, ma anche perché è l’unico paese a essere arrivato all’appuntamento con il Recovery con un capo del governo molto forte, molto stimato, molto stabile, supportato da una maggioranza che non ha eguali in Europa, che ha scelto di mettere da parte ogni genere di ostilità per costruire insieme un piano di ripresa e resilienza che dovrà essere adottato un domani anche da chi oggi non è al governo.

 

Il piccolo miracolo italiano è un miracolo che si va a combinare con una gestione della pandemia che non è stata perfetta ma non è stata più imperfetta di quella di altri paesi europei e con una tenuta sociale del paese del tutto diversa rispetto a quanto immaginato un anno fa da molti menagramo dell’opinione pubblica che avevano pronosticato per il nostro paese l’imminente arrivo di un autunno caldo, di un inverno terribile, di una primavera da incubo, caratterizzati da sempre imminenti e grazie al cielo mai concretizzatesi rivolte sociali. Rivolte che invece vi sono state, in questi mesi, in paesi come la Francia e che vi sono state, per altri versi, in versione no mask, in paesi come la Germania, e che invece in Italia sono state tutto sommato controllate, governate, monitorate, grazie a una pazienza, a una capacità di adattamento e a una buona dose di inaspettata responsabilità mostrata in questi mesi dalla stragrande maggioranza del paese. Basterebbe questo a mettere a fuoco il tema da cui siamo partiti, il piccolo miracolo italiano, ma accanto a questa capacità innata del nostro paese di far affogare di riffa o di raffa ogni forma di estremismo – ci pensate che tre anni fa lord Luigi Di Maio chiedeva di costruire un rogo politico per Sergio Mattarella? – c’è un’altra questione interessante che merita di essere presa in esame e che non c’entra stavolta con la politica ma c’entra se vogliamo con la cultura.

 

E così mentre l’occidente, in ogni dove, si trova costretto a fare i conti con fenomeni osceni di cancel culture, derive incredibili di politicamente corretto, polizia del pensiero schierata a ogni angolo della strada, l’Italia tutto sommato, almeno finora, è riuscita a governare e a contenere bene anche questa forma di estremismo. Pio e Amedeo, con la loro pazza e scorretta comicità, vanno in prima serata e stimolano non desideri di censura ma voglia di dibattito. Fedez, con il suo tentativo di tagliare a regola d’arte la telefonata registrata con i vertici della Rai e del concerto del Primo maggio, alla fine si ritrova vittima del suo stesso tentativo, perché alla Rai conoscono Fedez e ad aver registrato la telefonata non è stato solo Fedez ma è stata anche la Rai. E poi, per continuare, lo stesso movimento #MeToo, che in molti paesi è diventato qualcosa di simile a una santa inquisizione, in Italia tutto sommato è diventato un fenomeno gestibile più o meno come una corrente del Pd. E così succede che mentre in America la casa editrice W. W. Norton ha fermato la distribuzione e ogni tipo di pubblicità della biografia di Philip Roth subito dopo aver scoperto che l’autore, Blake Bailey, è stato accusato di abusi sessuali e almeno due stupri, in Italia succede che la stessa biografia viene come se nulla fosse pubblicata da Einaudi (e per fortuna). E allo stesso modo mentre in America i distributori dei film di Woody Allen (Amazon) si sono distinti per aver bloccato la distribuzione dei suoi film, subito dopo il riemergere delle vecchie accuse di molestie sessuali mosse all’attore e regista newyorchese, in Italia succede che il Woody Allen artista (ieri ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa”) venga amato a prescindere da ciò che il Woody Allen privato ha combinato nella sua vita (due anni fa “Un giorno di pioggia a New York” venne bloccato da Amazon, in America, mentre venne distribuito in Italia da Lucky Red). Lo stesso vale per Placido Domingo (che la scorsa estate ha ricevuto ovazioni nei teatri italiani nonostante le accuse di molestie a suo carico). E lo stesso vale per Roman Polanski, espulso nel 2018 dall’Accademia degli Oscar per un reato sessuale di più di quarant’anni fa, e non demonizzato invece dall’Italia, che nel 2019 lo ha scelto come ospite d’onore alla Mostra del cinema di Venezia e che ora vedrà prodotto il suo prossimo film da una coproduzione all’interno della quale vi è anche la Rai Cinema guidata da Paolo Del Brocco e la Eliseo Entertainment di Luca Barbareschi. Da sfogo dell’estremismo a diga degli estremismi. E’ difficile spiegare perché, ma il miracolo dell’Italia, oggi, in fondo è tutto qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.