Infelicissima sera

Pio e Amedeo hanno torto: non conta l'intenzione, conta far ridere

Manuel Peruzzo

La nuova culture war di provincia si gioca anche sull’umorismo. C’è chi pensa che potendo scherzare di tutto puoi disinnescare alcune parole tabù e chi per proteggerti da una discriminazione vuole censurare. Entrambi sopravvalutano la possibilità del linguaggio nel determinare la realtà

Ieri sera abbiamo scoperto che Pio e Amedeo hanno torto: non conta l’intenzione, conta far ridere. Due maschi bianchi etero e tossici (e pure foggiani, scegliete voi se è aggravante o attenuante etnica) hanno tentato di emulare George Carlin con le celebri 7 parole indicibili in tv sostenendo che non conta la parola ma conta, appunto, l’intenzione. E quindi che si può dire negro, frocio e ebreo in un varietà popolare tra i balletti in tutina con Achille Lauro e lo smalto messo a Claudio Baglioni. Solo che non siamo negli Stati Uniti del 1972 (non che le cose laggiù vadano meglio oggi): su Canale 5 si può dire negro, e se giri su Rai Uno trovi comparse travestite da indiano che sorridono a Carlo Conti.

 

  

L'unico difetto del monologo di Felicissima sera sulle parole tabù è che non faceva ridere. (Non come lo si intende oggi: non fa ridere me allora non è comicità). 

 

La nuova culture war di provincia si gioca anche sull’umorismo, che è forse il motivo per cui Pio e Amedeo sperano di alzare consenso a destra con il mantra “non si può più dire niente” (che fa il paio con quello che tira consenso a sinistra “tutto ciò che dici mi ferisce”). Non è la prima volta che litighiamo sui comici da queste parti, già Checco Zalone faceva discutere gli intellettuali, e abbiamo passato il mese scorso a chiederci se LOL facesse ridere o meno (tra l’altro: dovevano condurlo Pio e Amedeo, bel cortocircuito per chi oggi dice "sarebbero comici?" ma li avrebbe probabilmente difesi se anziché su Mediaset andassero su Amazon Prime). Come siamo passati da “non dirmi cosa faccia ridere” a “non dirmi di cosa posso ridere”?

 

Ci sono almeno due visioni del mondo sul tema: libertari contro suscettibili. Da una parte c’è chi pensa che potendo scherzare di tutto puoi disinnescare alcune parole tabù (Carlin sosteneva che siamo noi a dare potere d’offesa alle parole rifiutandoci di usarle in modo libero e disinvolto), dall’altra chi pensa che per proteggerti da una discriminazione occorra censurare. Entrambe le parti probabilmente sopravvalutano la possibilità del linguaggio nel determinare la realtà (non è che se scrivi nero anziché negro gli concedi la cittadinanza, allo stesso modo quando “negro“ era una parola neutra senza asterischi gli africani non erano più rispettati più di oggi nelle piantagioni). 

 

I comici americani sono impareggiabili funamboli in bilico tra queste opposte visioni.

 

Tra di essi c’è sicuramente Louis C.K. che prima di cadere in disgrazia per motivi di mutande fece un monologo in stile George Carlin. Se volete recuperarlo su YouTube dovrete prima passare per decine di altri video in cui ignoti moralisti da parrocchia vi fanno il predicozzo sul perché non si può usare la “N-Word” o la “F-Word” (L’articolo di un linguista del New York Times che ricostruisce la genesi e l’uso di “nigger” è accompagnato dalla spiegazione degli editori sul perché è stato pubblicato senza censure. L’unica cosa che pare non offenda più nessuno è essere trattati come stupidi).

 

 

Tornando in Italia, un monologo comico non può essere un editoriale di Libero. Se la battuta è “non si può dire nulla degli ebrei, e perché dei genovesi avari sì?”, ovviamente si alzerà qualcuno a dire “perché i genovesi non sono stati perseguitati”, anche se dovrebbe dire: ma non dovevi farmi ridere? Tralasciamo il fatto che l’antisemitismo precede gli stereotipi sull’usura, e lo sterminio degli ebrei non è avvenuto perché non offrivano mai al ristorante: un bravo comico, se vuole scherzare sugli ebrei, deve non farmi pensare all’olocausto. L’unica arma a sua disposizione è farmi ridere per distrarmi dalle camere a gas, ed è quello che hanno fatto da sempre i più talentuosi comici, persino nei cartoni animati, chi con successo chi con meno. Senza la maschera da italiano medio in Emigratis, cade anche la licenza d'uccidere.

 

Quando a un certo punto hanno detto “Vorrei che nero diventasse come terrone" pareva di sentire Randal, il commesso di Clerks, che vuole normalizzare “muso nero” tra i bianchi, e il collega Dante a dirgli che non può farlo perché è bianco. A quel punto l’altro risponde: “Ma ti senti? Mi stai dicendo che non posso fare qualcosa per il colore della mia pelle!”. (Su Twitter intanto c’era Matteo Salvini che li guardava, li condivideva, e probabilmente rideva pensando: anche per me i neri sono diventati come i terroni!).

 

 

Per fortuna c’è Checco Zalone a salvarci portandoci in vacanza in Salento con Helen Mirren in un video musicale “La Vacinada”, in cui canta della vecchia con le caviglie gonfie, le tette cadenti, il sorriso sul comodino che diventa una bomba sexy perché vaccinata con AstraZeneca. Fa ridere e non fa pensare alla disperazione dei vecchi o degli italiani medi intubati che non hanno ricevuto la dose. Il più scorretto, il più bravo.