Fedez e gli altri? È politica, non è populismo

No, non sono i nuovi Grillo o i nuovi Moretti. Cosa

Claudio Cerasa

Da Fedez a Zalone fino a Pio e Amedeo. L’ondata di artisti schierati nel dibattito pubblico è una sberla all’antipolitica: conta influenzare, non più distruggere

L’incredibile interesse suscitato negli ultimi giorni dalla performance messa in scena da Fedez a margine del concerto del Primo maggio ha offerto a molti osservatori l’occasione per chiedersi se l’Italia si trovi o meno di fronte a una nuova e micidiale ondata di populismo portato avanti da una serie di personaggi dello spettacolo interessati a riempire con il proprio attivismo alcuni vuoti lasciati sguarniti dalla politica.

  

Il parallelo tra la storia di Fedez e quella di  Grillo è un parallelo suggestivo (e non c’è dubbio che l’operazione di taglia e cuci fatta da Fedez nella registrazione della famosa telefonata sia grilismo  puro, visto e considerato che la censurina  l’ha compiuta Fedez  che ha tagliando lo scambio telefonico con i suoi interlocutori televisivi ha nascosto il fatto che la richiesta di rivedere il suo testo è arrivata dagli organizzatori del concerto e non dalla Rai) ma in verità sconta un difetto di analisi importante tipico di chi non si rassegna a leggere con gli occhiali del passato alcuni fatti del presente.

 

 

Fedez può essere amato così come può essere detestato. Ma l’elemento forse più interessante della sua esibizione – esibizione che ha avuto l’indubbio merito di aver spostato l’attenzione dell’opinione pubblica dall’agenda per la nazionalizzazione dell’Italia messa in campo dai sindacati per la ripresa del paese – è stato quello di aver posizionato al centro della scena un fenomeno che, a guardar bene, è l’esatto opposto di una nuova e micidiale ondata di feroce populismo. Un tempo, valeva per Beppe Grillo, valeva anche per Nanni Moretti e valeva anche per la generazione dei girotondini, gli artisti, per fare politica, facevano prima di tutto leva sull’antipolitica, proponendo di scassare il sistema dei partiti, suggerendo di mandare tutti a quel paese e arrivando al punto di affermare verità assolute come la scomparsa inevitabile della destra e della sinistra. In questo senso, Fedez, con il suo intervento a favore del ddl Zan e le sue feroci critiche contro gli omofobi della Lega, critiche diventate virali attraverso un uso sapiente più della vecchia tv di stato che dei social, ops, interviene nel dibattito (a) mosso dall’idea di influenzare la politica, non di rifondarla, e (b) mosso dall’idea, al massimo, di schierarsi contro una precisa parte politica, scegliendo infine di dare il suo appoggio non a una legge che la “casta della politica” si rifiuta di fare ma a un ddl che in fondo è stato appena calendarizzato al Senato e che presto potrebbe diventare una legge dello stato.

 

Quello di Fedez è un tentativo di condizionare la politica, non di distruggerla, ed è un tentativo di condizionare la politica che, se vogliamo, arriva anche per ragioni di carattere politico, anche per evitare di finire nel pericolosissimo tritacarne mediatico di chi su alcuni temi decide semplicemente di non esporsi e di farsi i fatti propri. Il motore dell’invettiva di Fedez è dunque la politica, non l’antipolitica, anche se sarebbe un po’ ingenuo pensare che Fedez voglia mettere la propria popolarità al servizio di qualcosa di diverso dal televoto. E lo stesso, se ci si riflette un istante, si potrebbe dire per altre interessanti incursioni artistiche nel mondo della politica registrate negli ultimi giorni. Vale per Checco Zalone, se vogliamo, che prima del formidabile inno alla vaccinazione cantato insieme ad Helen Mirren aveva scelto di influenzare a suo modo la politica provando a ironizzare, con un film di successo come Tolo Tolo, sui tic razzisti di alcuni partiti (sapete quali). E vale in una certa misura anche per il duo comico Pio e Amedeo che, sempre sulla vecchia e sgangherata tv generalista (sui cui dibattiti campano i social, non il contrario) ha utilizzato l’ultima puntata del loro show, “Felicissima Sera”, su Canale 5, per provare a fare l’opposto di ciò che ha provato a fare Fedez: ironizzare contro gli eccessi di una politica fondata sui diritti incapace di sfuggire alla dittatura illiberale del politicamente corretto. Il nostro Andrea Minuz, con un tocco di genio, ha scritto su Twitter che la politica è ormai perfettamente sovrapponibile al palinsesto dello spettacolo –  “I Ferragnez le due anime della sinistra (Fedez quella populista, Ferragni quella liberale, globalista, cosmopolita), Pio e Amedeo la destra di lotta, Maurizio Battista quella di governo, Ficarra e Picone l’area cattolica, moderati e riformisti ripartano da Checco Zalone” – ma il passaggio da una stagione di artisti che volevano distruggere la politica, per rifondarla, a una in cui gli artisti invece che distruggere la politica provano a suggestionarla, anche a costo di essere divisivi e di scegliere da che parte stare, è un segno di interesse per i temi politici che tutto dovrebbe far pensare tranne a una nuova e micidiale ondata di antipolitica. E la differenza tra il “vaffanculo” di Grillo e il “fate presto” di Fedez in fondo è qui. Si può essere a favore o si può essere contro (il ddl Zan, come abbiamo spiegato ieri, a noi non piace) ma la storia di oggi è diversa da quella di ieri. Non è il populismo, ma è l’antipopulismo, bellezza.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.