Giuste le intenzioni, sbagliata la legge. Che fare col ddl Zan

Claudio Cerasa

Il rischio di trasformare una legge pensata per difendere alcune libertà in una legge destinata a offenderne altre. Il pericolo di considerare reati le opinioni. Spunti in vista della discussione al Senato (anche per Fedez)

In uno splendido e spassoso articolo dedicato al ddl Zan, il nostro amico Manuel Peruzzo, giovedì scorso, ha provato a sintetizzare come meglio non si può il dibattito politico che è stato messo in scena nelle ultime settimane attorno al tema del disegno di legge contro l’omotransfobia, che il Partito democratico, il Movimento 5 stelle e Leu hanno appena calendarizzato al Senato. Sapete già come funziona, scrive Peruzzo, e a seconda di come la pensiate, i peggiori sono sempre gli altri. “Se votate Matteo Salvini penserete che sia una legge liberticida promossa da una dittatura gay (lo dice anche Platinette che la battaglia dei diritti è vinta perché “hanno smesso di tirarmi i pomodori”); se votate per il partito Ferragnez, in mancanza di un centrosinistra, e ascoltate le dirette di Fedez con Alessandro Zan, potreste farvi l’idea che gli oppositori stiano difendendo il loro diritto a picchiarvi perché “non essendoci un reato con un nome preciso si fa fatica a fare la denuncia”.

 

Nei prossimi giorni la legge Zan verrà votata al Senato e in vista del dibattito a Palazzo Madama è utile provare a ragionare offrendo una terza via tra il partito di chi teme che vi sia una dittatura gay pronta a dominare il mondo (la Salvini e Meloni Associati) e il partito di chi teme che vi sia una volontà esplicita da parte di coloro che diffidano di questa legge di lasciare alcune minoranze in balìa dei peggiori fascisti d’Italia (sul palco del concerto del Primo maggio Fedez, insieme con molti altri, ha trasformato in fascisti tutti coloro che esprimono dubbi sul ddl: non è esattamente così). La nostra idea è che l’intento della legge Zan sia giusto ma che la legge sia sbagliata e che la sua applicazione potrebbe portare a un risultato che forse neppure gli estensori della stessa legge vogliono: fare di una legge costruita per difendere alcune libertà una legge destinata a offendere altre libertà.

Il primo problema della legge Zan è che parte da un assunto non vero: l’esistenza di un vuoto normativo che impedisce in modo categorico di tutelare chi subisce reati di violenza fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sull’abilismo. I primi due articoli del ddl Zan, come è noto, introducono l’orientamento, il genere sessuale e l’abilismo, che riguarda la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità, negli articoli del codice penale, il 604 bis e ter, che puniscono la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione. Il terzo articolo modifica il decreto legge 122 del 1993, la cosiddetta legge Mancino. E qui iniziano i problemi e anche la distorsione di un dibattito che si basa su un altro assunto errato: chi è contro il ddl Zan è contro tutti i diritti che il ddl Zan vuole proteggere. E dunque chi sostiene che quel ddl sia sbagliato non ha alcuna intenzione di accendere un faro su chi subisce violenze per ragioni legate al proprio sesso, al proprio genere, al proprio orientamento sessuale, alla propria abilità. Siamo sicuri che sia davvero così?

 

Le lacune normative, in realtà, non sono affatto evidenti e l’obiettivo di proteggere la popolazione da qualsiasi tipo di offesa alla persona è contenuto all’interno di una serie di norme che già oggi permettono ai giudici di punire il reato di diffamazione aggravata. Il nostro ordinamento sanziona già oggi i delitti contro la vita, i delitti contro l’incolumità personale, i delitti contro l’onore, i delitti contro la personalità individuale, i delitti contro la libertà personale, i delitti contro la libertà morale (come la violenza privata e la minaccia) e anche gli atti persecutori (art. 612 bis cod. pen.). E la stessa Corte di Cassazione, in una sentenza citata da Alfredo Mantovano nel suo libro molto critico sulla legge Zan, spiega bene, anche se in modo tecnico, che l’intento di punire l’offesa rivolta a una persona in considerazione del suo orientamento sessuale può rientrare all’interno dell’articolo 61 comma 1 numero 5 del codice penale. E la sentenza numero 6608 della Corte di Cassazione sembra andare in questa direzione quando sancisce che l’aggravante della così detta minorata difesa, con riferimento alle condizioni della persona, “va operata dal giudice, caso per caso, valorizzando situazioni che abbiano ridotto o comunque ostacolato, cioè reso più difficile, la difesa del soggetto passivo, pur senza renderla del tutto o quasi impossibile, agevolando in concreto la commissione del reato”.

Dunque, di cosa si parla? Il senatore Zan, conversando gentilmente proprio con questo giornale, ha riconosciuto che tra le altre cose “la legge serve a instillare nelle persone un atteggiamento di prudenza” e il punto involontariamente ammesso da Zan è proprio quello: la legge Zan non è una legge utile dal punto di vista normativo, ma è una legge utile dal punto di vista simbolico. E sui simboli vale la pena ragionare. Non c’è dubbio che tra coloro che non vogliono il ddl Zan via siano anche persone che considerano del tutto inutile e persino sbagliato occuparsi della difesa di alcuni diritti (gli omofobi esistono eccome) ma tra coloro che non vogliono il ddl Zan vi sono anche persone che fanno un ragionamento diverso. Vi sono alcune femministe, per esempio, come quelle che un anno fa, da Cristina Comencini a Donatina Persichetti, presidente della Consulta femminile della Regione Lazio, inviarono al Parlamento una lettera per esprimere “una forte preoccupazione per una proposta legislativa contro l’omotransfobia che estende i crimini d’odio anche alla cosiddetta ‘identità di genere’”. Ragione: “Con questa espressione – scrissero – si sostituisce l’identità basata sul sesso con un’identità basata sul genere dichiarato. Attraverso ‘l’identità di genere’ la realtà dei corpi – in particolare quella dei corpi femminili – viene dissolta”. Le femministe di Se non ora quando, all’epoca, citarono alcuni casi importanti, come quello della scrittrice inglese J.K. Rowling, che “si è vista rovesciare addosso una valanga di accuse di omofobia, sessismo, razzismo, transfobia” per avere detto che il sesso è reale, e come quello di Sylviane Agacinski, che si è vista annullare da parte delle autorità accademiche la conferenza sull’“essere umano nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” che avrebbe dovuto tenere all’Università di Bordeaux. Zan, sempre sul Foglio, ha detto che, con la sua legge, Rowling “non rischierebbe condanne, se non istigasse a compiere atti discriminatori e violenti”. Ma è evidente che il tema posto da Comencini & co un anno fa resta attuale: c’è o no il rischio che una legge come questa si trasformi in una legge che va a punire i reati di opinione?

 

Al contrario della rappresentazione macchiettistica offerta sui giornali su questo tema (la Rai piuttosto che preoccuparsi dei testi di Fedez dovrebbe forse preoccuparsi di organizzare un dibattito per discutere di questi punti), fino a oggi il dibattito parlamentare, su questo fronte, è stato ricco di spunti di riflessione e di posizioni tutt’altro che dogmatiche. Una delle posizioni più convincenti è quella che ha esposto in Aula lo scorso autunno l’attuale capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia alla Camera nonché ex membro laico del Csm, Pierantonio Zanettin. Zanettin ricorda che esiste un sottile confine tra la libertà di pensiero e l’istigazione all’odio (e alla discriminazione) che il testo Zan vorrebbe punire e nota che quando questa linea di demarcazione è molto labile si rischia di trasformare in un reato anche ciò che dovrebbe essere un diritto: il pensiero. L’odio, nota Zanettin, è un sentimento riprovevole, che vorremmo estirpare dalle coscienze, che nessuno dovrebbe provare nei confronti di chicchessia, ma fa parte della natura umana e uno stato di diritto di stampo liberale deve saper riconoscere anche il diritto a odiare, se questo diritto – e vale anche per le bestemmie, che non sono più reato – si limita a un pensiero o a un’opinione e non si traduce in atti concreti di violenza o minaccia. Restringere il perimetro normativo delle libertà di pensiero, come potrebbe fare il ddl Zan, consentirebbe invece di mettere nelle mani di un giudice ogni discrezionalità interpretativa, trasformando in un autore potenziale di reato anche chiunque manifesti in modo anche sgradevole le sue idee e le sue opinioni, ancorché disgustose o sbagliate.

Si chiede giustamente Zanettin: “Possiamo considerare istigazione all’odio e alla discriminazione una pubblica manifestazione contro i fenomeni, ormai assai diffusi e praticati, dell’utero in affitto e della stepchild adoption?”. E ancora: “Possiamo ragionevolmente escludere che nessun giudice o nessun pm perseguirà mai sacerdoti cattolici o di altre confessioni religiose o semplici credenti o movimenti laici che si rendano protagonisti, sulla base delle loro convinzioni religiose, di contestazioni più o meno eclatanti dell’utero in affitto o delle famiglie arcobaleno? Non è certo questa l’intenzione di chi ha promosso questa legge (e non si capisce per esempio cosa ci sia di male nell’istituire la giornata nazionale contro la discriminazione e la creazione dei centri di tutela delle vittime) ma quando si costruiscono norme che rendono ancora più vaghe alcune fattispecie di reato, la possibilità che il reato in questione si trasformi in un reato di opinione è forte. La legge Zan non è una legge fascista, i fascisti sono quelli che di solito pestano coloro che questa legge vorrebbe simbolicamente proteggere, ma dire che chi ha dubbi sulla legge Zan è un fascista anche no, grazie.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.