brigate rosse e gilet gialli

Così la visita di Di Maio ai Gilet gialli impantanò l'estradizione degli ex brigatisti

Valerio Valentini

L'arresto di Battisti aveva sbloccato le trattative, con la benedizione del Colle. Poi la visita dell'ex vicepremier gialloverde ai Gilet jaunes, lo sconcerto di Macron e l'intesa mai più ritrovata con Conte. Il ruolo centrale di Mattarella. "Il vento del cambiamento" di Draghi

L’intesa, sia pure da definire nei dettagli operativi, già c’era: l’iter che avrebbe dovuto portare all’estradizione degli ex brigatisti italiani riparati in Francia era avviato, quando sulla trattativa irruppe il genio diplomatico di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, il loro pellegrinaggio per omaggiare i Gilet gialli che intanto mettevano a soqquadro Parigi. Era il 5 febbraio 2019: e la cosa s’interruppe sul nascere. Tutto era iniziato il 12 gennaio, con l’arresto in Bolivia di Cesare Battisti. Il suo rientro in Italia segna una svolta che le autorità diplomatiche italiane provano a sfruttare.

 

E così si fissa, poche settimane dopo, un vertice a Parigi: partecipano un pool di magistrati italiani, funzionari di Via Arenula, diplomatici di stanza all’ambasciata italiana nella Capitale francese. “Se volete che si proceda, bisogna che approviate quanto prima la Convenzione di Dublino”, si sentono dire dai loro omologhi transalpini. E non è un caso se in Parlamento si inizia a discutere l’approvazione di quel trattato (che avverrà poi a novembre). L’input c’è. L’allora ministra della Giustizia Nicole Belloubet porta il dossier all’attenzione dell’Eliseo. Ma nel frattempo, tra Roma e Parigi, qualcosa è cambiato: Di Maio, vicepremier gialloverde, ha pensato bene di recarsi in visita dai leader dei Gilet gialli. “Il vento del cambiamento ha valicato le Alpi”, esulta sul SacroBlog, per lo sconcerto di Emmanuel Macron che tre giorni dopo ritira l’ambasciatore. Tutti i dossier più spinosi tra i due paesi, compreso quello sull’arresto degli ex brigatisti, vengono congelati.

 

Toccherà a Sergio Mattarella in persona, volato ad Amboise per ricucire lo strappo diplomatico, rinnovare al presidente francese la sollecitazione a “trovare un accordo su una questione delicata come quella delle estradizioni”. E’ il 2 maggio: e ci vorranno mesi per riaprire davvero le trattative sul tema. L’ambasciata italiana allestisce il fascicolo, individuando 20 ricercati residenti ancora in Francia. Di questi, solo 10 possono essere ancora perseguiti il 29 gennaio 2020, quando il dossier viene trasmesso al governo di Parigi. Tutto sembra pronto, stavolta. Ma è di nuovo Macron a bloccare tutto. “Le condizioni politiche non ci sono”, si sentono dire le feluche italiane  dai funzionari dell’Eliseo. Sono passati mesi, è cambiato il governo, ma la ferita non è ricucita del tutto. I collaboratori di Bonafede tenteranno una timida protesta coi loro colleghi transalpini. Ma invano. Il dossier resta lì, pronto ma accantonato.

 

E questo spiega come mai, con l’arrivo del nuovo governo di Mario Draghi, la procedura ha avuto bisogno di un tempo così ristretto per trovare il suo definitivo compimento. Il colloquio tra la ministra della Giustizia Marta Cartabia e il suo omologo Eric Dupond-Moretti,  la telefonata tra Draghi e Macron otto giorni più tardi. Il vento del cambiamento è arrivato a Roma, devono aver pensato a Parigi. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.