Il premier Mario Draghi durante l'incontro con le associazioni delle imprese sul Recovery plan (Ansa)

L'intervento

Per crescere occorre liberarsi di disintermediazione e burocrazia

Sergio Silvestrini*

Rinunciare alla funzione della mediazione indebolisce la società e il sistema economico. Proposte per il Recovery plan e per il futuro dell'Italia

Da oltre un anno la Cna è convinta che per superare la crisi devono marciare in parallelo le misure per alleviare le profonde ferite sul tessuto economico e sociale provocate dal virus, e una strategia di lungo termine per liberare le molteplici energie positive e rimettere l’Italia sul sentiero virtuoso della crescita che latita da troppo tempo. La terribile fase che stiamo vivendo ha rafforzato la nostra antica convinzione che collaborazione e condivisione tra istituzioni, forze politiche e parti sociali dovrebbero rappresentare la cornice naturale entro la quale elaborare progetti e indirizzi per affrontare le enormi trasformazioni sulle quali la pandemia ha agito da acceleratore. Nei giorni scorsi abbiamo rilanciato al presidente del Consiglio la proposta di istituire una cabina di regia aperta alle parti sociali sul Recovery Plan, il cui successo è determinante per il futuro dell’Italia ma lo è anche per le aspirazioni dell’Unione europea. È un’occasione irripetibile per marcare una netta discontinuità con il passato recente. Coinvolgere le parti sociali nella cruciale funzione di monitoraggio sull’implementazione del piano sarebbe un segnale positivo e di fiducia. Abbiamo profuso ogni sforzo per contribuire a definire provvedimenti e politiche capaci di coniugare la risposta all’emergenza con il disegno di rilancio del paese. 

 

 

Pertanto guardiamo con interesse alla proposta di un grande patto per rigenerare l’Italia lanciata dal segretario del Pd Enrico Letta dalle pagine del Corriere della Sera, sul modello dell’accordo del luglio 1993 i cui artefici furono Carlo Azeglio Ciampi e Gino Giugni. Oggi come allora vanno individuati obiettivi strategici e misurabili occorre condividere un percorso concreto, mettendo da parte tatticismi e liturgie per recuperare la sintonia con le persone. Al di là delle formule e dei modelli, deve esserci la massima chiarezza sulla premessa: la centralità dell’impresa e del lavoro, accantonando definitivamente retaggi novecenteschi, superando finalmente la teoria datata che etica e profitto siano concetti opposti e inconciliabili. Dal campo di gioco vanno rimossi anche quei residui tossici di ingiustificato pregiudizio nei confronti dell’impresa che talvolta emergono. Tra gli ultimi esempi la timidezza e la riluttanza per sancire che l’imprenditore non può essere responsabile per il contagio di un proprio collaboratore. Senza trascurare il codice appalti, l’architettura fiscale, molte norme in campo ambientale che sono intrise di una cultura del sospetto nei confronti dell’impresa.

 

Per delineare una nuova prospettiva dobbiamo anche abbandonare alcuni stereotipi e luoghi comuni come quello che micro e piccole imprese rappresentino la zavorra del nostro sistema economico e la principale causa della bassa crescita. Al contrario la pandemia ha evidenziato che l’imprenditoria diffusa è un ingranaggio fondamentale per il motore della crescita, un asset da tutelare come dimostrano le misure adottate da Stati Uniti e Germania che hanno concentrato le politiche di sostegno sulle micro imprese. Non è soltanto una forma di welfare verso i più colpiti dalla crisi ma un’opzione di politica industriale. Sono imprese che offrono beni e servizi essenziali e non replicabili su scala globale. Se le perdiamo lasceranno un vuoto che non potrà essere colmato. 

 

Piuttosto l’Italia rimane inchiodata in 58esima posizione nella classifica Doing Business (la facilità del fare impresa) e nella graduatoria della Banca Mondiale sulla complessità dei sistemi fiscali siamo scivolati al 128esimo, dopo il Mozambico. L’elenco delle riforme da realizzare è lungo e noto per rimuovere gli ostacoli alla crescita. Ma occorrono due condizioni. La prima è lasciarsi alle spalle l’effimero decennio della disintermediazione, mettere la pietra tombale sull’esperimento del rapporto diretto tra politica e cittadini. Non è una semplice coincidenza che dalla crisi finanziaria del 2008 a oggi abbiamo avuto crescita zero e una burrascosa ingovernabilità dell’Italia. È il portato della rinuncia alla funzione dell’intermediazione, l’effetto della personalizzazione e della verticalizzazione della politica. Ascoltare le forze sociali significa ascoltare i cittadini. Rinunciare alla funzione della mediazione indebolisce la società e il sistema economico.

 

La seconda è arrestare alcune derive del capitalismo politico individuato già da Max Weber un secolo fa. La sua mano invisibile non è l’egoismo del macellaio o del birraio bensì la burocrazia che si è rapidamente trasformata da elemento di continuità istituzionale nelle democrazie a potere spesso autonomo ma che alimenta i conflitti di interesse in capo allo stato indossando contemporaneamente la casacca del giocatore e dell’arbitro. La Cna è pronta a offrire il contributo di artigiani e piccole imprese a una sfida impegnativa per dare risposte agli straordinari e impensabili mutamenti collaterali innescati dalla pandemia, dai modelli economici alla geografia residenziale e produttiva fino al sistema delle relazioni sociali. Siamo quel pezzo dell’Italia che non si arrende mai e che vuole guardare al futuro con fiducia.

 

Sergio Silvestrini, segretario generale Cna

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