tensioni a palazzo chigi

"E i nostri temi dove sono?". Così Pd e M5s assediano Draghi sul Pnrr

Valerio Valentini

Dal Superbonus al piano asili nido, il Nazareno protesta: "Così è un marchettificio". Franceschini al premier: "Se lasci impunita la dissidenza di Salvini, poi è liberi tutti". E la Meloni provoca la Lega. Il calendario del Recovery

L’evidenza della baruffa sta tutta lì, nel cambio di agenda: in quel Cdm che doveva celebrarsi nel tardo pomeriggio e che invece, quando già le convocazioni ufficiali erano pronte a partire, viene rinviato alle dieci del mattino dell’indomani. Una manciata di ore, che dovrebbe svelenire il clima, nella speranza che il rinvio valga a risolvere più dissidi di quanti non ne creerà. D’altronde, mercoledì sera, Dario Franceschini con Mario Draghi era stato categorico, quando lo aveva preso da parte al termine della riunione di governo che aveva registrato l’ammutinamento leghista sul coprifuoco: “Guarda, presidente, che se passa il concetto che gli atti d’insubordinazione restano senza conseguenze, si legittima la protesta generale”. Che puntualmente arriva proprio sul dossier più decisivo: quello del Recovery plan. Su cui, quasi per un bilanciamento dei malumori, i mugugni maggiori arrivano da sinistra.

 

Quando infatti Mariastella Gelmini, capo delegazione di FI al governo, ieri pomeriggio ha riunito su Zoom i vertici azzurri, lo ha fatto quasi solo per registrare la soddisfazione di Renato Brunetta per la conferma degli investimenti e del piano assunzioni per la Pa,  e l’orgoglio di Mara Carfagna per il potenziamento di investimenti al sud. L’unica polemica l’ha agitata il piemontese Alberto Cirio: ma ce l’aveva con la riapertura delle scuole. Giancarlo Giorgetti, invece, dalla sua tolda del Mise, ha lanciato l’avviso ai naviganti: “Sul Pnrr niente cinema”. Ed ecco allora perché Matteo  Salvini, dopo aver incontrato Claudio Durigon  al Mef, ha evitato ogni commento. L’unica impuntatura è poi venuta proprio dal ministro dello Sviluppo, in realtà, ma solo quando a Palazzo Chigi sono arrivate le voci di protesta di Leu, allarmato per la riduzione delle risorse destinate alla transizione ecologica in favore del Piano 4.0: “Ci sta bene il sostegno alle imprese, ma vincoliamolo  ai soli investimenti in chiave green”.

Enrico Letta, poi, s’è trovato a dover fronteggiare le proteste dei suoi fedelissimi. Specie di quelli che, nella segreteria, si occupano del Recovery. E’ toccato ad Antonio Nicita, ad esempio, osservare, in videoconferenza con ministri e sottosegretari dem, che delle molte proposte avanzate dal Pd su donne e giovani, ben poco è stato accolto dal governo. E non solo nel Pnrr, ma anche nel fondo complementare di 30,4 miliardi. Era nato, secondo il volere di Daniele Franco, come un gruzzolo aggiuntivo con cui finanziare i progetti che non soddisfacevano a pieno i requisiti posti da Bruxelles. “E invece s’è trasformato in un  marchettificio”, hanno sbottato al Nazareno, chiedendo a Palazzo Chigi di destinare una parte di quelle risorse al piano per gli asili ni do e la non autosufficienza. Quanto al sud, è il senatore pugliese Dario Stefano a guidare la protesta: “Servono più soldi per le infrastrutture da Roma in giù”.

 

E poi c’è il capitolo del Superbonus, la cui proroga al 2023 è stata negata dal Mef, che ora valuta la richiesta del Pd di una sorta di “clausola di conservazione”, che consenta cioè di finanziare comunque gli interventi realizzati anche oltre la scadenza fissata, contando sul risparmio dovuto al minore o ritardato tiraggio della misura nel 2020 e 2021 a causa della pandemia. E’ questo il tasto su cui batte anche il M5s, in effetti. Ma con una veemenza che ha lasciato un poco disorientato Franco. Perché Stefano Patuanelli, che lo sgarbo leghista in Cdm non è disposto a lasciarlo cadere nel vuoto (“L’ultima volta che si mise a verbale la diserzione di alcuni ministri fu con Bellanova e Bonetti, e sappiamo cosa ne seguì...”), ha insistito per ottenere subito, nel Pnrr, quei fondi in più per il Superbonus che il ministro dell’Economia aveva già concordato con la sua vice Laura Castelli, pure lei grillina, d’includere nella prossima legge di Bilancio.

 

Un’entropia scomposta su cui poggia il suo occhio compiaciuto Giorgia Meloni. La quale, in vista delle comunicazioni di Draghi alla Camera di lunedì sul Pnrr, ha fatto redarre una risoluzione di sei pagine, che discetta di temi che vanno dal Mes al reddito di cittadinanza, e che pone al governo 25 (venticinque!) richieste: dal raddoppio dei ristori alle imprese all’introduzione della flat tax, dalla riaffermazione della proprietà pubblica sulle riserve auree di Banca d’Italia al No allo ius culturae. Drappi rossi sventolati davanti ai leghisti, che a quelle istanze dovranno votare contro. Anche se il ministro Federico D’Incà sta già lavorando a una risoluzione di maggioranza minimale: “Ascoltate le comunicazioni del premier, l’Aula approva”. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.