guerriglia leghista

La faida tra Giorgetti e Durigon. Così Alitalia spacca la Lega.

Valerio Valentini

Il ministro dello Sviluppo cerca margini di manovra in Europa per far nascere Ita. Il sottosegretario al Mef raccoglie il malumore della sua Ugl, e gli amici dei leghisti laziali vanno sotto le finestre del Mise a protestare contro gli esuberi. Salvini, nel mezzo, tentenna. E Meloni ride

Il problema sta, certo, nel fatto che la guardano entrambi da posti di governo, la faccenda. L’uno da Via Veneto, dove guida il Mise. L’altro da Via XX Settembre, come sottosegretario al Mef. Due dentro a un fuoco: quello di Alitalia, o meglio quello della Lega intorno alla compagnia di bandiera e quei suoi troppi dipendenti. Ma se il trapasso verso Ita, con gli esuberi che ne conseguono, sta travagliando così tanto il Carroccio, il motivo è anche un altro. E sta non solo in quello che i due sono ora, ma soprattutto in quello che sono stati e che rappresentano.

 

Perché l’uno, Giancarlo Giorgetti, l’eminenza ligia della Lega di governo, incarna la vecchia anima nordista: quella che lo ha spinto, chissà se per goliardia o per orgoglio, ad arrivare fin sulla soglia del Quirinale indossando una mascherina con su il simbolo dell’Insubria, il giorno del giuramento del governo. L’altro, Claudio Durigon, cispadano di Latina, è l’uomo del passaggio da Pontida alla Pontina, il grand commis del Carroccio tutt’intorno al Raccordo. E se ora, tra i due che si sono sempre sopportati poco, si è arrivati a una guerriglia fatta di piccole e grandi malizie, è perché si ritrovano a dover sbrogliare la matassa di Alitalia dai due capi opposti.

 

Giorgetti, che di Mario Draghi è uno dei ministri più fidati, sa che di margini di manovra ce ne sono ben pochi, nelle trattative con l’Europa. E nel ricevere il testimone da Stefano Patuanelli, ha chiesto all’amico grillino qualche consiglio su come poter ammansire l’inflessibile Margrethe Vestager. “Ma non è la commissaria in sé, il problema”, s’è sentito rispondere. “E’ tutta la struttura di Bruxelles che ormai, al solo sentire la parola ‘Alitalia’, mette mano alla pistola”. Certo, il premier la scorsa settimana ha dato copertura a Giorgetti. Ma sanno entrambi che di margini ce ne sono pochi. E che vanno sfruttati non tanto per mantenere dei livelli occupazionali insostenibili, quanto per rendere subito competitiva la piccola Ita, e magari renderla pure appetibile, sin d’ora, per qualche grande vettore europeo. E infatti Daniele Franco, quando s’è visto ricevere una bozza di piano che prevedeva di riassorbire negli anni una parte degli esuberi, ha subito cassato l’idea. Di lì, quel certo disincanto di Giorgetti sull’ineluttabilità del taglio: almeno 6 degli 11 mila dipendenti saranno di troppo. E al sentir montare le proteste dei suoi, scuoteva il capo: “Forse non hanno ancora capito che questo non è un ‘salvataggio’”.

 

O forse lo hanno capito fin troppo bene. Specie Durigon, che mantiene ben saldi i legami in quell’Ugl dove s’è fatto le ossa e poi ha fatto carriera, fino a offrire a Matteo Salvini una via d’accesso su Roma e provincia col relativo pacchetto di voti. E qui sta il problema: i voti. Perché nell’anno in cui si vota per il Campidoglio, licenziare vuol dire perdere elettori. Tanto più che Giorgia Meloni s’è messa a soffiare sul fuoco, e in un mix di statalismo e autarchia pontifica sulla necessità di preservare orgoglio nazionale e lavoratori. E Durigon sbuffa, allora, e ogni volta che dal corpaccione del suo sindacato gli riferiscono dello scivolamento degli iscritti verso FdI lui mastica amaro. E come lui, e più di lui, smania anche William De Vecchis, senatore leghista che vive proprio in quella Fiumicino che è l’epicentro del malcontento. Ce l’ha coi lombardi, De Vecchis, dice che se fosse Malpensa, a rischiare, Giorgetti farebbe di più. Da Via Bellerio rispondono che “con le strategie di De Vecchis abbiamo già dato”: riferimento alle amministrative del 2018, quando il senatore convinse Salvini a fare un’alleanza con l’ultradestra nel suo comune finendo col relegare la Lega al terzo posto.

 

Ma più che il ricordo delle elezioni sul litorale laziale, a irritare davvero chi sta intorno a Giorgetti è il vedere la faccia di De Vecchis troppo spesso accanto a quella dei dirigenti dell’Ugl, come il segretario nazionale del Trasporto aereo Francesco Alfonsi, che sono i principali animatori delle proteste. E quando mercoledì, quegli stessi dirigenti dell’Ugl Giorgetti se li è ritrovati sotto le finestre del Mise, pare non l’abbia presa affatto bene. “Per noi il mantenimento della pianta organica resta un principio non negoziabile”, sentenzia Maurizio Politi, capogruppo della Lega in quel Consiglio comunale capitolino che proprio oggi terrà una seduta straordinaria dedicata ad Alitalia. E certo Politi, che un po’ di politica la mastica, intravede la strettoia quando gli si chiede se, alzando troppo la posta, la Lega non finisca col mettere in difficoltà il suo stesso ministro dello Sviluppo: “Il rischio di un cortocircuito politico c’è”, ci dice. “Ma non possiamo certo accettare di calare le braghe di fronte all’Europa”. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.