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Draghi, il patriottico. Golden power e autonomia vaccinale. La sponda di Giorgetti

Il patriottismo che smonta il sovranismo. Prima l'Italia ma senza fare l'Italietta

Carmelo Caruso

La politica di tutela degli asset nazionali che piace a Giorgetti: Alitalia, Ilva, vaccini e rete. Le telefonate di Draghi per proteggere gli interessi. "Fare il premier mi piace". Il sovranismo di De Luca? "Questa non passa"

Roma. Le case farmaceutiche? “Alcune società si sono vendute le cose due o tre volte”. Ilva? “Strategica” e dunque arriva Franco Bernabè. I semiconduttori? “Ci servono. Abbiamo deciso di esercitare la golden power”. La prossima sarà Iveco. E poi Alitalia “che è costosa” ma gli stranieri non prenderanno i nostri slot”. I vaccini? “Li produrremo noi. Non ci abbiamo rinunciato”. Non è sovranismo scalcagnato e non è un caso che piaccia a Giancarlo Giorgetti. C’è qualcosa di nuovo che Mario Draghi ha iniziato a pronunciare: “Metto il mio prestigio a servizio dell’Italia e mi sta piacendo”. E’ il patriottismo sgrassato da scorie di nazionalismo.


Il suo motto è “faremo meglio se non faremo da soli”. Cosa sta accadendo all’italiano che più di tutti ha girato il mondo e che dal mondo è riconosciuto? Vuole dimostrare che si può difendere “la bandiera senza straparlare di nazione”. Ha un’idea tutta sua che è anche l’idea del ministro dello Sviluppo Economico. Condividono insieme una linea di pensiero. E’ questa: ogni qual volta ci saranno dossier dove la competizione internazionale può mettere a rischio il paese, il governo interverrà. Se si dovesse rendere necessario si eserciterà la golden power sulle reti di trasporto. Perché nessuno in Europa si sogna di dire: “Ma cosa gli è preso agli italiani. Sono diventati protezionisti”? Perché a farlo è l’italiano più internazionale e perché non è vero che “bisogna battere i pugni” quando si ha la possibilità di telefonare. Draghi telefona. E telefona Giorgetti che cerca di spiegare alla Lega che è “più facile fare l’interesse della nazione quando si ha un premier che l’Europa non teme ma ci invidia”. Qual è stata la prima azienda salvata da Giorgetti? Si tratta di Corneliani. Ne è andato fiero per una ragione sentimentale che è poi forse la più intima: la madre lavorava in un laboratorio tessile. L’altra è che era un’azienda prestigiosa, anche questa strategica se si può dire, e che stava per finire nelle mani dei cinesi. Non sono salvataggi, difese da autarchici. Giorgetti non sopporta che il “sovranismo operetta, una robaccia da propaganda”. Preferisce utilizzare la parola “orgoglio nazionale”. Draghi sull’orgoglio vuole costruire tutto un racconto che è il suo racconto. Rivela che “Bankitalia era un’istituzione e che questo incarico è diverso. Un servizio”. E’ un’esperienza che lo sta travolgendo e che gli fa tornare in mente gli anni da direttore generale del Tesoro. Dato che non ha un partito tutto suo mette a partito il suo blasone. E ha infatti ragione Claudio Borghi quando dice “che Draghi critica l’Europa più della Lega”.

 

Non dice che però Draghi lo fa con costume. Con lo stesso costume è dell’opinione che Alitalia va salvata ma senza prendersi in giro. Lo si fa per non consentire ai grandi vettori (Lufthansa e Ryanair) di fare come vogliono approfittando di un’azienda guastata. Ma una cosa è farlo in questo modo un’altra è farlo “per avere una compagnia di bandiera” che è una fantasia da provinciali. Draghi pensa che il miglior modo di fare l’italiano è dire che nella nuova azienda “non tutti ci potranno entrare”. Giorgetti, di sponda, che “è meglio dispiacere qualcuno ma sistemare una volta per tutte qualcosa”.

 

Un ulteriore esempio è l’Ilva. Lo stato entra nel cda. Lo fa attraverso il ministero dell’Economia e grazie a 400 milioni che serviranno ad aumentare il capitale di Arcelor Mittal. La condizione è però una: più management e meno spasmi politici quindi personalità di rilievo. Sui vaccini si ragiona allo stesso modo. Un polo farmaceutico serve ma “non per fare le fiale made in Italy” aggiunge Draghi, ma perché “lo hanno già fatto Francia e Germania. L’autonomia vaccinale è economia e non può essere un’ideologia”. Cosa c’è di male? A Draghi piace l’idea di “trovare la patria nel mondo” e se rispetta le regioni è perché gli piacciono le patrie piccole ma fino a quando non entrano in conflitto. Contro il sovranismo regionale, quello sgrammaticato di Vincenzo De Luca, Draghi applicherà, anche qui, la sua golden power. Non gli sarà permesso di vaccinare le categorie che vuole lui. A Draghi gli hanno sentito dire così: “Vediamo fino a dove si spinge e poi agiremo”. Il pensiero di dopo è che “questa non si lascerà correre”. E’ insomma l’italianità senza slogan. Il dilemma? Prima Erdogan o De Luca?

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio