l'intervista

"L'eurobond ora non è un'utopia, ma dipende tutto dall'Italia". Parla Benifei

La Lega? "Qui a Bruxelles si chiedono come si possa credere al loro europeismo". Il M5s? "Vanno chiariti i rapporti con Casaleggio e le posizioni sui diritti umanitari". La Germania? "Merkel ha avuto coraggio. Ora noi siamo padroni del nostro destino"

Valerio Valentini

"Se manchiamo l'opportunità del Recovery, la colpa del fallimento del progetto politico che porta al debito comune sarà nostra. Certo che l'autorevolezza di Draghi aiuta". Il colloquio col capogruppo del Pd al Parlamento europeo

Quando la telefonata ha inizio l’entusiasmo del mattino, di quando s’era concordata l’intervista, pare già svaporato. Perché la Germania, nel frattempo, torna a fare la Germania: la Merkel che di eurobond non vuole sentir parlare, la Corte suprema che sospende   la ratifica del Recovery fund. Eppure Brando Benifei non sembra scomporsi. “Ce l’aspettavamo”, dice il capogruppo del Pd al Parlamento europeo. “Non siamo certo così ingenui da pensare che d’incanto le resistenze storiche dei paesi nordici vengano meno. Ma siamo anche consapevoli che mai come stavolta la possibilità di una svolta concreta verso una comunione del debito è concreta. E, mai come stavolta, a essere padroni del nostro destino di europei siamo proprio noi italiani”. 

 

Affermazione impegnativa, quella di Benifei. Che infatti spiega: “Col Recovery fund si è rotto un tabù. Quei 750 miliardi di emissioni comuni sono di fatto una prima significativa forma di eurobond. Impensabile fino a un paio d’anni fa. Ma la pandemia ha stravolto le certezze di tutti, e ad Angela Merkel va riconosciuto un certo coraggio, in questa traumatica contingenza storica.  Ora sta a noi fare in modo che questo progetto straordinario diventi strutturale”. In che modo? “Sfruttando al meglio, fino all’ultimo centesimo, le risorse del Recovery plan. Siamo il primo beneficiario del piano, e dobbiamo dimostrare che la nostra fama di cicale che non riescono a utilizzare i fondi europei non ha più motivo di esistere. Possiamo rivendicare di essere virtuosi nel perseguire un costante avanzo primario, ma il nostro debito pubblico resta un fardello. Il Recovery, in questo senso, è una sfida decisiva per affermare che  l’approdo agli eurobond non è utopia. Se invece perdiamo questa occasione, la responsabilità del fallimento di questo progetto politico sarà soltanto nostra”.

 

E Mario Draghi, che ancora in queste ore è tornato a ribadire l’importanza di emissioni di debito comune, aiuta? “E’ evidentemente una figura con un prestigio trasversale straordinariamente elevato”, risponde Benifei, spezzino classe ’86. “Semmai, la preoccupazione di tanti nostri colleghi europarlamentari di altri paesi sta nella presenza al governo guidato dall’ex presidente della Bce di un partito che qui a Bruxelles presiede il gruppo di cui fanno parte Le Pen e AfD”. E’ in fondo l’obiettivo della Lega, no? Usare l’ombra di Draghi per accreditarsi a livello Ue. “Di queste strane manovre del Carroccio qui non si ha contezza. Sarà pur vero che Giorgetti dialoga con qualche anonimo europarlamentare della Cdu, ma quel che oggi è sotto gli occhi di tutti è l’intervista che Salvini ha rilasciato a un giornale ungherese dicendosi pronto a costruire la nuova Europa con Orbán e  Morawiecki”.

 

Eppure tanti leghisti hanno provato a rivendicare le parole di Draghi  come una validazione delle tesi di Borghi&Bagnai. “Un accostamento del tutto improprio. La Lega ha sempre considerato come un attentato alla sovranità nazionale qualsiasi progetto di condivisione del bilancio e della fiscalità, limitandosi a invocare però un intervento salvifico della Bce che dovrebbe stampare moneta per tutti senza limiti. Ma questo approccio, oltre a essere  insostenibile di fronte ai nostri partner tedeschi o olandesi, nasconde al fondo l’inganno del nazionalismo, l’illusione disonesta dell’esaltazione sovranista. Le parole pronunciate da Draghi nel suo primo discorso al Senato fugano ogni dubbio su quanta distanza ci sia tra le due tesi”.

 

Eppure talvolta il Pd è parso più titubante, rispetto alla Lega, nell’affermare la propria sintonia rispetto al premier. Con l’arrivo di Enrico Letta questi imbarazzi verranno superati? “La figura di Enrico, un ex premier con grande autorevolezza in Europa, aiuterà sicuramente a ribadire la nostra convinta adesione all’agenda di Draghi. Non condivido, però, la ricostruzione secondo cui siamo stati noi a sentirci in difficoltà nel sostenere il nuovo governo. Che ha, è vero, promosso una certa discontinuità ai vertici delle strutture preposte a condurre la campagna vaccinale, ma ha nella sostanza confermato l’orientamento di fondo del precedente governo nella gestione della pandemia. Massima prudenza, da questo punto di vista: chi invocava riaperture su larga scala è rimasto deluso. Così come chi pretendeva di varare, nel decreto Ristori, una sanatoria fiscale allargata”.

 

E invece l’alleanza col M5s, che proprio al Parlamento europeo dovrebbe trovare una sua certificazione, come procede? “Il M5s ha espresso pubblicamente la volontà di entrare nel gruppo dei Socialisti e Democratici. Ma non ha fatto alcun passo formale in tal senso, finora. E menomale, aggiungo. Perché, al di là di una sintonia reale nelle votazioni in Aula e di una maturazione innegabile delle loro posizioni in chiave europeista, permangono ancora alcune ambiguità di cui discuteremo. Si tratta anzitutto di un partito con evidenti problemi di trasparenza nel suo rapporto con la Casaleggio Associati, e simili opacità non sarebbero ammissibili nella nostra famiglia. Sono contento che Conte abbia dichiarato che vuole affrontare il tema. Così come non sarebbero tollerate certe prese di posizione, più vicine alla Lega che non al Pd, sulle questioni legate ai diritti umani, all’immigrazione e ai salvataggi in mare”.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.