il primo Cdm della discordia

Salvini scalpita, Draghi lo imbriglia. Sulla "pace fiscale" la Lega mastica amaro

Valerio Valentini

Il pressing del leader leghista su Giorgetti, che cerca sponde a Palazzo Chigi. Il "metodo Garofoli" che irrita i ministri. Poi il Cdm della prima baruffa. Il premier al Carroccio: "Prima delle bandiere ideologiche viene il bene del paese". E sui vaccini: "Pronto a ricevere AstraZeneca"

Che la giornata s’annunciava tribolata, Giancarlo Giorgetti l’aveva capito di buon mattino. E infatti quando Matteo Salvini, in un atto scenografico di presenzialismo, aveva portato una truppa dei suoi in corteo al Mise, con l’aria di chi annuncia battaglia in vista dell’approvazione del decreto “Sostegni”, il ministro dello Sviluppo aveva messo in chiaro le cose: “Dobbiamo sapere che, se puntiamo in alto, ci saranno tensioni”. E del resto poche ore prima, come un altro paio dei colleghi di governo più navigati, il vicesegretario della Lega aveva cercato lo staff del premier per avere conferma che non ci sarebbe stato alcun preconsiglio, ad anticipare la riunione decisiva.

 

Solo che Roberto Garofoli, sottosegretario alla Presidenza che su tutto sovrintende con maniacale scrupolo, aveva preferito evitare un vertice tra responsabili legislativi e capi di gabinetto dei vari dicasteri: quelli che serve mettere intorno a un tavolo per appianare le divergenze di merito ed evitare che le tensioni esplodano in Cdm. Ma un po’ il timore di fuga di notizie e di bozze (un timore che ha costretto alcuni ministri a recarsi personalmente a Palazzo Chigi per ritirare le ultime versioni del decreto in formato cartaceo), e un po’ l’eccessiva fiducia verso il senso di responsabilità di tutti, Garofoli aveva provato a risolvere i dissidi con incontri bilaterali coi responsabili dei vari partiti.

 

E invece il clima s’era andato incarognendo intorno a un grande equivoco, alimentato con sapienza dalla propaganda leghista. Perché lo stralcio delle cartelle esattoriali inesigibili rispondeva in principio a un’esigenza pratica di razionalizzazione delle forze dell’Agenzia delle entrate. E invece il Carroccio, trascinandosi dietro anche Forza Italia, aveva iniziato a sventolare il drappo della “pace fiscale”, del “condono”: e subito, come un riflesso condizionato, da Leu e dalla sinistra del Pd s’erano alzate urla di protesta: “Giammai!”. Così Draghi, con al fianco Garofoli e il ministro dell’Economia Daniele Franco, s’è dovuto appartare per quasi un’ora coi ministri leghisti, e poi a turno coi colleghi di Pd e M5s. La mediazione proposta pare subito poco conveniente per la Lega: perché il limite delle cartelle da stralciare resta a 5 mila euro, e il limite temporale è quello del 2011. Ma soprattutto, la cancellazione sarà possibile solo per chi ha reddito Irpef al di sotto dei 30 mila euro. “Lo si potrà comunque cambiare in Aula”, mugugnano i leghisti, con l’aria di chi mastica amaro.

 

Ma del resto, un minuto dopo il varo del decreto “Sostegni”, ognuno – da Luigi Di Maio a Dario Franceschini, passando per Forza Italia e Leu – ha la sua piccola o grande vittoria da rivendicare. E allora Draghi, coi ministri Franco e Andrea Orlando, si presenta in conferenza stampa per illustrare i dettagli di un provvedimento che in verità è cambiato molto poco, rispetto alle previsioni. Ci sono gli 11 miliardi per i ristori alle aziende, con tre milioni di partite Iva che si vedranno arrivare i bonifici tramite una piattaforma dell’Agenzia delle entrate a partire dall’8 aprile nell’arco del mese. Confermati anche il blocco dei licenziamenti e l’estensione del Reddito di emergenza e di quello di cittadinanza, così come le risorse (2,8 miliardi diretti, altrettanti quasi indiretti) per la sanità e la campagna vaccinale. Rispetto alla quale, Draghi ci tiene a sgomberare il campo da qualsiasi sospetto. Dicendo che sì, “quando sarà il mio turno mi vaccinerò, e lo farò con AstraZeneca”. Quanto alla longevità del governo, spiega che “dipenderà dalla volontà del Parlamento”. E forse, nella giornata che ha segnato la prima baruffa nel suo esecutivo per via delle intemperanze leghiste, Draghi ha capito che non sarà un percorso sempre agevole. 
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.