(foto Ansa)

Le inconfessabili paure su Draghi

Giuliano Ferrara

L’Infiltrato Salvini che assume pose di guida. La sinistra ostaggio di scorie e rancori. I libberali che non sanno che fare. E poi la grande ristrutturazione: sfida tosta. Nutro fiducia, sì, ma sono preoccupato

E le conseguenze politiche del governo Draghi? Nell’agenda famosa c’è un buco scoperto. Mettiamola così, visto che esprimo punti di vista molto personali. Sono innamorato di Draghi. Lunga durata, costanza d’affetto, carezze al politico, al gesuita, al tecnico. E’ l’eccezione dietro le quinte che giustifica l’ordinarietà. Se viene avanti e diventa regola, tanto meglio. Di lui mi piace tutto, il Britannia ma prima Guido Carli, Bettino e tutti i governi successivi, e poi l’illustre curriculum, fino al momento in cui viene incaricato per prendere la guida del governo, momento fatale compreso. Amo il suo sguardo insieme languido e di ghiaccio, il suo eloquio, la sua storia intellettuale tra Caffè e Modigliani, la sua intelligente furbizia, il suo comportamento istituzionale, ovviamente il suo silenzio. E ancora una volta, uno non è stronzo per niente, io mi fido.

 

Ero un sostenitore del Bisconte antiTruce, e a pandemia dispiegata mi è sembrato buono il lavoro dell’esecutivo politico precario, facevano le cose giuste per lo più, in un chiasso starnazzante di gigioni dell’opposizione che costa nulla, e le conseguenze politiche della svolta in Europa, alla quale diciamo che il Bisconte non fu estraneo e che il w.it.takes di Marione ha consentito in ultima analisi, erano e restano tra le più promettenti, dopo le sbornie nere del 4 marzo 2018, il giorno elettorale della vergogna nazionale, populista e sovranista e razzista, trasformato trasformisticamente in un’occasione di riscatto grazie al sistema parlamentare italiano e all’azione del Pd compreso Renzi. Ma non potevo innamorarmi di Zingaretti o di Conte o di Casalino, non sono il mio tipo. Quando Mattarella lo ha chiamato, nel giubilo trasfigurante di destra e sinistra, nel gaudio dei partiti e dei movimenti che avevano fallito, maggioranza e opposizione, mi sono detto che aveva il potere di andare alle Camere in quarantott’ore, dopo consultazioni formali, se necessario, escludendo tutti in nome dell’unità nazionale tecnocratica e d’emergenza, ma che non avrebbe usato di questo potere. In effetti non lo usò. Consultazioni lente, feconde, estese, che portarono a un governo con sette ministri del precedente esecutivo, con politici della ex opposizione ben calibrati, amicus della sua fazione sed magis amicus dragus, e un’aria di efficienza legata a tecnici, personale di rincalzo consulentizio ben scelto, mobilitazione anche dei militari e dei vescovi, che è sempre un bel vedere, infine McKinsey e vorrei pure che ci facessimo mancare il buon consiglio. Avvertii tuttavia, nel gaudio condiviso, che c’era un rischio, e ne scrissi per tempo: se è logorante il parto, la salute del pargolo può risentirne, specie per le attività di estrema emergenza, dittatura sanitaria e economia. Siamo a quel punto o non lo siamo? Chissà. C’è tempo per vedere.

 

Per adesso si fa quel che si può e si deve, anche biscontianamente se occorre. E si prepara il botto del Next Generation Eu. Comincio a preoccuparmi delle conseguenze politiche, questo sì. Non vedo come la ristrutturazione del sistema, la grande occasione performativa indotta dal governo Draghi, possa dislocarsi agevolmente. Nutro fiducia, ma non sono Facta. Non vedo che scorie e rancori nel Pd, a parte i ragionamenti cristallini di un enorme Bettini in confessionale dalla Meli, e speriamo che questa volta un altro Letta, posato il risentimento e lo spirito d’esilio, ci metta una pezza non a colori. Vedo la contizzazione grillesca dei transizionali, nuova invenzione verde per non piangere, e ci sta. Vedo la sinistra di classe divisa in tre classi, e Speranza solitario al timone di quanto mi sta a cuore, come prima e forse meglio di prima ancora. Vedo i libbberali col botto che tanto sperano e si agitano e dicono e disdicono annaspare in un centro propulsore moderato e riformista, annegato nell’unità nazionale la più liquida, che non promette forza né voti, sebbene ne arrivi qualche buona idea, ma in un clima come sempre litigioso che non esclude, anzi implica, la solita lotta dei capi a sinistra e al centro. Baldante invece, a parte il Cav. che si è visto creati ministri i partenti del movimento e li ha commissariati con stile, facendo finta di niente, la destra. Meloni fa la furbetta, che è il suo stile. L’Infiltrato Salvini assume pose di guida complessiva, sgranocchia la testa del fatale Arcuri, si intesta il vaccino di Putin, celebre inoculatore agli amici, ai nemici non so, e progetta non la rincorsa dei popolari ma un fronte con ungheresi e polacchi, che non è la cosa più rassicurante del mondo, e sembra che il draghista Giorgetti sia di nuovo lì che mastica una specie di emarginazione dorata, ma stavolta all’ombra del governo di tutti, del governo da lui voluto, con Draghi amichevole e sornione. “Le conseguenze economiche della pace” furono drammatiche, come sa chi ha letto Keynes alla luce del massacro successivo alla sua diagnosi. Le conseguenze politiche di Draghi, che non possono restare a lui estranee, visto che da sempre è un uomo di stato e dello stato, per adesso non promettono gran che di buono.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.