(foto Ansa)

Il caso

Forza Italia, il M5S si divide e si strugge. Dove portano le frasi di Di Maio e Bonafede

Luca Roberto

Il ministro degli Esteri e il capodelegazione M5s aprono al dialogo, ma non all'ingresso al governo. I rischi di una base pronta a cavalcare il tabù dell'antiberlusconismo

Da qualche giorno a Luigi Di Maio e ad Alfonso Bonafede, i due ministri e volti governisti del Movimento cinque stelle, giornali, tv e radio vanno chiedendo più o meno la stessa cosa: siete disposti ad allargare il perimetro della maggioranza, in questa fase di emergenza, dialogando con Forza Italia?

Che poi un po' è come prefigurare una rivoluzione, per un soggetto politico che deve le sue origini pure alle sparate sullo “psiconano” e al “partito dei mafiosi”, Dell'Utri e tutta la saggistica à la Chiarelettere.

E loro però, in un moto a fisarmonica, questa certezza un po' tendono a metterla sotto conserva, per altro verso a levigarla. “Secondo me, discutere di un ingresso di Forza Italia in maggioranza non ha senso. Io rispetto tutti ma il M5S e Berlusconi sono due mondi diversi", s'è affrettato a chiarire in mattinata Di Maio. Che non più tardi di due giorni fa, in un'intervista a Repubblica, aveva confessato di essere “sempre stato un promotore del dialogo con le opposizioni e continuo a esserlo. Non chiudo all'ipotesi di collaborazione, ma ognuno nelle rispettive posizioni, maggioranza e opposizione. In questo momento non vedo proprio i presupposti” per un allargamento della maggioranza. Dove più di qualcuno, nella lettura, si era soffermato su quel riferimento temporale (in questo momento), preludio a una certezza delle fasi che è compito della pandemia provare, nel caso, a scompaginare. “Nessun allargamento della maggioranza. Ma è doveroso in questo momento dialogare con le opposizioni. Sottoscrivo totalmente l’appello lanciato dal presidente Mattarella: collaboriamo, anche con posizioni critiche, ma senza sterili polemiche. L’Italia in questa fase ha bisogno del contributo di tutti”, gli faceva eco nelle stesse ore, in maniera pressocché sovrapponibile, Bonafede.

Di Maio, del resto, è quello che con i dirigenti di Forza Italia mantiene un filo di dialogo diretto, e con l'entourage del Cav pure, a quanto pare, discreti precedenti diplomatici. Se è vero che questa estate non passò inosservata la sua visita all'ambasciata del berlusconismo, a colloquio con Gianni Letta, che nei retroscena era già diventata una pre-consultazione pre-governissimo. E però il ministro degli Esteri sa, come pure il suo omologo alla Giustizia e capodelegazione a Palazzo Chigi, che a ogni apertura deve seguire un serrare le fila, che altrimenti il già pericolante gruppo parlamentare del M5s da uno stato di fluidità potrebbe arrivare a ebollizione. E infatti la domanda che si fanno in queste ore gli osservatori delle dinamiche pentastellate è quanto tempo dovrà passare, ad esempio, prima che Alessandro Di Battista, o uno dei suoi follower tipo Barbara Lezzi, pieghi l'attualità della cronaca giudiziaria, che in Calabria ha visto finire il presidente del Consiglio regionale di Forza Italia Domenico Tallini agli arresti domiciliari con l'accusa di voto di scambio politico mafioso, per dire: “Vedete con chi vi volete alleare, noi ve l'avevamo detto” Ché a volte i tabù sono anche questo: pronti a tornare a galla e a presentarti il conto nel momento meno opportuno. 

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