Il personaggio

Di Maio vede Netanyahu, ma prima Luigi scorrazzava sulla Striscia di Gaza

Il ministro degli Esteri per due giorni in missione in Israele e nei territori palestinesi. Nel pomeriggio incontrerà anche il premier

Simone Canettieri

Nel 2016 l'incidente diplomatico con Manlio Di Stefano. La ciliegina sulla torta di un M5s non sempre amico di Israele 

Una viaggio organizzato con i fiocchi e che fa curriculum: oggi pomeriggio Luigi Di Maio incontra a Tel Aviv il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. Ed è uno strappo alla grammatica diplomatica, frutto della mediazione e del lungo lavorio degli ambasciatori, perché di solito il ministro degli Esteri si limita a vedere in queste occasioni l’omologo.

Il capo della delegazione italiana però, oltre al bilaterale con Gabi Ashkenazi, avrà il tempo anche di “scambiare qualche riflessione con il premier”. E sarà una foto che conta per il titolare della Farnesina, di quelle da appiccicare nell’album del nuovo Di Maio, magari insieme ai retroscena della cena con Mario Draghi e ai complimenti di Angela Merkel per non parlare del rinnovato rapporto con il “faro” Sergio Mattarella.

E questa due giorni, tra Israele e i territori palestinesi, tra Tel Aviv e Gerusalemme, segna anche un nuovo rapporto, forse, tra il M5s e Israele. Una storia tormentata e fatta di incidenti diplomatici da far tremare i polsi. D’altronde, basta fare un passo indietro di pochissimi anni e ricordare un’altra delegazione, un altro viaggio, abbastanza catastrofico. Il 10 luglio del 2016 all’allora vicepresidente della Camera Di Maio fu vietato di entrare nella Striscia di Gaza. “E’ un cattivo segnala per la pace”, protestò, chissà con quanta convinzione, il ragazzo magico del grillismo. Rimediando, così su due piedi, una lezione di diplomazia: “La Striscia di Gaza è controllata da Hamas, organizzazione terroristica ostile a Israele. L’ingresso coinvolge permessi speciali soggetti a considerazioni di sicurezza”, fu la replica, abbastanza stizzita, dell’ambasciata di Israele a Roma. L’astro nascente del M5s che da lì a poco diventerà capo politico voleva solo, si giustificò, far visita alla ong Vento di Terra.

Ma insomma, alla fine, venne respinto con perdite. Con lui quel giorno c’erano altri due parlamentari: Manlio Di Stefano e Ornella Bertorotta. Il primo adesso è sottosegretario agli Esteri, e non farà parte della comitiva. Forse per pudore, forse per evitare un altro frontale. In molti ancora si ricordano il voto contrario dell’Italia alla risoluzione dell’Unesco su Gerusalemme motivato da Di Stefano così: “Si fa complice dei danni che Israele sta provocando a monumenti antichi che l’Unesco non riesce a tutelare per via dell’occupazione israeliana e si fa, infine, complice dell’occupazione stessa e del blocco di Gaza che l’Unesco ha chiesto di eliminare”. Una presa di posizione che scatenò una ridda di commenti antisemiti sui social grillini.

Tanto che poi comparvero sulla bacheca Facebook dell’attuale sottosegretario anche le liste di proscrizione lasciate in omaggio da qualche svitato. Ma niente di nuovo. D’altronde la politica estera un po’ pazzarella dei grillini rimane agli atti: dal Venezuela non si vive poi così male (remake di “Spinaceto? Pensavo peggio) ad “Assad non è un dittatore, perché dovranno deciderlo i siriani”.

Con la svolta governista, con Di Maio vicepremier qualcosa è cambiato. Con inevitabili ritorni di fiamma. Meno di un anno fa, per dirne un’altra, il senatore Elio Lanutti dovette ritirarsi dalla corsa alla presidenza della commissione banche per via di un ormai famoso, quanto sciagurato, tweet che rilanciava i “Protocolli dei Savi Anziani di Sion” con tanto di un fantomatico complotto per governare il sistema bancario mondiale ordito e gestito da alcune potenti famiglie di origine ebraica. In quella occasione dovette intervenire Di Maio per costringere Lanutti a un passo indietro.

Ma certi atteggiamenti e approcci rimangono ancora e spesso riemergono. Il capogruppo del M5s in commissione Esteri del Senato, Gianluca Ferrara, da sempre molto attivo verso il riconoscimento dello stato della Palestina, perorato da da Riyadh al Bustanji, accolto a Palazzo Madama con tutti i crismi. Uno zig zag pericoloso. D’altronde solo lo scorso giugno il M5s ha presentato alla Camera una risoluzione per “condannare l'annessione unilaterale della Cisgiordania nello stato di Israele e chiede sostegno agli alleati” bollandolo come errore storico “del governo di Netanyahu”. Idee e parole non imputabili a Di Maio, che in questi mesi e ormai anni è stato in grado di tessere un rapporto privilegiato con la comunità ebraica di Roma, culminato con l’incontro con Ronald Lauder, presidente del congresso ebraico mondiale e compagno di scuola di Trump. Dunque si cambia. Ma con un dubbio: agli stati generali del M5s si parlerà anche di politica estera?

 

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