Andrea Orlando (foto LaPresse)

Orlando conferma che qualcosa non va. “Conte non è Prodi e non lo sarà”

Salvatore Merlo

L’alleanza con il M5s alle regionali si fa, anche in Liguria. Tutte le convergenze possibili con Forza Italia. I messaggi a Confindustria. “Basta approssimazioni a Chigi”

Roma. E’ appena terminata la direzione nazionale del Pd. Nicola Zingaretti sembra aver allontanato l’immagine di “Conte leader dei progressisti” che fino a oggi aveva accompagnato i rapporti tra il Pd e il presidente del Consiglio. Il gossip di Palazzo descrive più di qualche elemento di tensione tra il partito del centrosinistra e il premier. E allora il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, risponde così al Foglio quando gli si dice che Conte adesso non è più il leader del nuovo Ulivo. Non è più il Romano Prodi del 2020. “Non mi pare che lo fosse neanche prima”, risponde Orlando. “Si è sempre trattato di un’interpretazione forzata. Com’è una forzatura anche sostenere che oggi sia cambiato qualcosa nei rapporti tra il Pd e Conte. Ci troviamo semplicemente di fronte a una fase nuova. Frutto dei successi del governo, ma anche dei problemi che il virus ha generato nel paese. Questioni economiche. Fin qui, con l’emergenza sanitaria, si è trattato di spegnere un incendio. Ora si tratta di prevenire nuovi incendi. Cambia tutto. E deve cambiare anche il metodo di lavoro”.

 

Eppure Francesco Boccia, e non solo lui, mesi fa proponeva Giuseppe Conte come leader della sinistra. Il nuovo Prodi. “Non so cosa intendesse Boccia”, risponde Orlando. “So che il paragone con Romano Prodi non funziona. Prodi era il candidato delle forze di centrosinistra individuato sulla base di una scelta politica che aveva una storia alle spalle. Quella del governo attuale è un’operazione che non era prevista né prevedibile, nella quale ci siamo trovati. Una conseguenza del Papeete, che certo si è fortificata, cementata, ma sulla base – ripeto – di una emergenza. Di una condizione anomala. Non sto prendendo le distanze né da Conte né dal governo, ovviamente. Ma tra quello che succede oggi e la vicenda di Prodi non c’è alcun rapporto”.

 

Qualcuno sostiene, tuttavia, che il Pd si sia infastidito perché ormai convinto del fatto che Conte sia deciso a fare un suo partito e correre alle elezioni. “Questa ipotesi non ci ha né infastidito né preoccupato. Noi siamo solo preoccupati dalle false partenze. E delle questioni che riguardano la recessione. Pensiamo alle risposte che vanno date in tema di economia. Siamo preoccupati dall’uso dei fondi europei e pubblici. Siamo preoccupati dal metodo. Perché nella fase della pandemia l’approssimazione era comprensibile, è stata persino un metodo di lavoro. Dovevi avvicinarti il più possibile alle ricette giuste, e si andava avanti a tentoni. Ma adesso l’approssimazione sarebbe un errore devastante. Prima era giusta la ricerca continua di un ‘punto di equilibrio’. Ora non è più così. Ora serve uno sguardo lungo. Bisogna decidere dove l’investimento delle risorse pubbliche frutta di più e ha un ritorno più significativo. Ci vuole visione, chiarezza di obiettivi e di percorso”.

 

Conte però ha lasciato capire che non si presenterà agli stati generali dell’Economia con un’idea precisa. Ma andrà ad ascoltare. “Ascoltare è sempre giusto, ma presentarsi con un foglio bianco rischia di essere un guaio. Bisogna andarci con un’idea che guidi la discussione con le parti sociali”.

 

E insomma, dice Andrea Orlando, “agli stati generali dell’Economia è il governo che deve presentare delle idee, una metodologia”. E dunque guidare le danze. Ma quali sono le idee? “Niente da inventare. Io ho proposto di mutuare alcuni strumenti che si utilizzano a livello europeo come il libro bianco. Si tratta di rendere esplicite e leggibili di fronte all’opinione pubblica le posizioni degli stakeholder e anche le risposte che arrivano dalla parte pubblica. Nel merito dobbiamo soprattutto concentrarci su come si arriva all’appuntamento con i finanziamenti europei. Che non vanno sprecati. Le linee guida sono chiare: riduzione delle asimmetrie e delle diseguaglianze, sostenibilità ambientale e innovazione tecnologica con sviluppo digitale. E ovviamente Mes. Queste sono le linee condivise con l’Europa. Lo sappiamo. Il nostro problema non è dunque definire gli obiettivi. Ma definire gli strumenti con i quali raggiungerli. Le imprese e il sistema finanziario sono pronti a cogliere l’occasione? La Pubblica amministrazione è organizzata? A nostro avviso gli stati generali devono avere la funzione di creare una sinergia tra pubblico e privato in direzione di questi obiettivi. Non è una questione di lana caprina. Se non saremo pronti, si rischia che tutti questi soldi pubblici non vengano spesi. E in più c’è anche un’altra questione, che Zingaretti ha posto, evitare cioè che i diversi soggetti economici alzino i toni solo per contrattare. Per ottenere di più. Noi abbiamo bisogno di un metodo di condivisione che tolga le tentazioni scenografiche ad alcuni rappresentanti delle parti sociali”.

 

L’allusione è evidente. E Confindustria ha questa tentazione scenografica secondo lei? “Confindustria alza i toni per provare a prendere una fetta più grossa dei denari pubblici, magari a scapito di altre rappresentanze d’impresa. Sarebbe giusto, invece, che la allocazione delle risorse si realizzi secondo metodi che rispettino la proporzione dei danni provocati dal Covid su ciascuno. Non la forza relazionale dei singoli soggetti”.

 

Un altro aspetto che riguarda gli stati generali dell’Economia riguarda le opposizioni. Con Forza Italia c’è una certa sintonia. Con Salvini e Meloni no. Forza Italia è l’alleato futuro del Pd? “Con Forza Italia si è progressivamente strutturato un rapporto di collaborazione più stretto. Sul decreto liquidità c’è stato un atteggiamento di apertura notevole. E la maggioranza ha accolto diversi emendamenti di Forza Italia. Credo proprio che un ulteriore passo si possa fare sul decreto rilancio. Questo non significa che una discussione sul merito non si possa avere anche con le altre opposizioni. Tuttavia, mi riferisco a Salvini e Meloni, se uno vuole dimostrare che il suo teorema è giusto a dispetto della realtà finisce con l’avere grosse difficoltà a dialogare con chicchessia. Mi spiego meglio: se Salvini e Meloni vogliono dimostrare che l’Europa è nemica e che non arrivano soldi, quando i fatti dicono esattamente il contrario, parlare con loro diventa molto difficile”.

 

E con Forza Italia si può invece immaginare qualcosa di più di una collaborazione sporadica. C’è un nuovo patto del Nazzareno? “Il Nazzareno era un tentativo di collaborazione finalizzato alle riforme istituzionali. Oggi non è necessaria l’adesione a nessuna ipotesi di riforma. La convergenza nasce da una comune analisi che precipita nella necessità di mantenere un rapporto costruttivo con l’Europa. L’anticamera di questo rapporto con Forza Italia è stato non a caso il voto a favore di Ursula von der Leyen”.

 

Il patto del Nazzareno tuttavia alludeva anche a qualcosa di più di un accordo istituzionale. Ci sarà mai un governo con Forza Italia e il Pd? “Avere una comune visione dei rapporti internazionali e della collocazione dell’Italia nel mondo non porta automaticamente allo stare insieme al governo. Per contro è evidente che avere una diversa visione dei rapporti internazionali e non condividere il posizionamento dell’Italia sullo scacchiere geopolitico rende molto complicato lo stare insieme”.

 

Questo significa che un eventuale governo di unità nazionale con Salvini è impossibile. Mentre con Berlusconi è possibilissimo. “La collocazione internazionale è un ostacolo e anche un discrimine a qualsiasi forma di collaborazione”. Dunque anche al governo. “A meno che non ci sia una evoluzione dei sovranisti. Loro continuano a dare la colpa di chissà cosa ad Angela Merkel, e lo fanno a dispetto dell’evidenza, della politica e delle scelte effettuate dal governo tedesco. E nel farlo sono sempre più balbettanti, ovviamente. Perché non funziona quello che dicono. Se l’Europa non avesse agito in questi mesi, oggi saremmo noi europeisti ad arrampicarci sugli specchi. Purtroppo per lui, invece, c’è Salvini a tentare l’arrampicata”.

 

I cinque stelle invece si sono assai modificati. All’apparenza. Non sono più euroscettici. Per il momento, almeno. E il Pd sta allargando l’ipotesi di alleanza con i grillini anche alle regionali che si terranno il 20 settembre. Vi alleerete in Liguria? “Fino a qualche tempo fa, in Liguria, sarebbe stato impensabile. E invece adesso c’è un accordo sui programmi. Manca l’ultimissimo miglio”. Franceschini ha parlato di alleanza permanente o di alleanza strategica. Dovunque. “Io non ho mai usato il termine ‘strategica’ riferita all’alleanza. Non so se alla fine di questa esperienza il M5s sarà esattamente com’è stato fino a oggi. Leggo tutto in termini dinamici, non statici. Vedo una evoluzione del M5s. Cosa produrrà questa evoluzione non è dato saperlo”

 

Una scissione dei grillini? “Non solo questo. Le domande sono più d’una. Alla nostra sinistra nascerà qualcosa? Dobbiamo pensare che ci siano ancora tre forze che si definiscono europee e liberali, o si andrà verso una convergenza di Calenda, Renzi e +Europa? Il quadro è in evoluzione. Dunque noi dobbiamo avere una stella polare chiara: unità del centrosinistra e convergenza con quel pezzo di populismo ascrivibile all’europeismo”.

 

Tra le tante posizioni che il M5s ha cambiato c’è anche il Mes. Avete fatto il lavaggio del cervello al grillismo? “C’è stata una evoluzione del M5s, ma anche del Mes. Oggi il Mes non è nemmeno lontanamente parente di quella cosa contro la quale loro si scagliavano un tempo. Ma a parte questo la questione del Mes, mi permetto di aggiungere, è importantissima. Quei soldi li prenderemo per rifondare il sistema sanitario nazionale. E questo però implica l’onere di avanzare una proposta seria sulla Sanità. Ed è evidente che torniamo all’origine di questa conversazione: ci vogliono idee non approssimazione. Senza un’idea sul sistema sanitario rischiamo di sprecare soldi. Bisogna parlare di modelli. E qui si colloca la questione sulla Lombardia”.

 

La Lombardia è il modello da non seguire? “La Lombardia ha smantellato i presìdi territoriali e ha iperspecializzato il suo servizio sanitario. Abbiamo scoperto che questo sistema capace di funzionare bene in tempo normale, ma fondato sui limiti degli altri sistemi sanitari regionali, non ha invece retto con il Covid. Abbiamo invece visto che altri sistemi, con connotazione diverse, Veneto ed Emilia, hanno risposto meglio”. Dunque i modelli per ridisegnare il sistema sanitario, con i soldi del Mes , per il Pd sono il Veneto e l’Emilia. “Che in comune hanno due cose. Guardi che è importante: la capillarità sul territorio e la forte regia pubblica”.

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.