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La Carta immaginaria

Lo stato di salute della Repubblica. Tornare ai significati originari del testo per preservare la Costituzione

Il 2 giugno si è festeggiata la Repubblica. Qual è lo stato di salute della Repubblica?

I festeggiamenti dovrebbero servire a ricordare, a fare un bilancio, a costruire identità. Nulla di tutto questo. Pochi hanno ricordato i diversi significati della ricorrenza. L’abbandono della concezione dinastica del capo dello Stato, che vuol dire l’accesso aperto a tutti al vertice dello Stato. E vuol dire anche temporaneità della carica. Pochi hanno ricordato che da un quarto di secolo non si votava, quel 2 giugno 1946. Era, dunque, la riscoperta della democrazia. Che quel giorno votava la metà dei cittadini fino ad allora privi del diritto di partecipare alla vita politica attiva (le donne). Che quel giorno si avviò il processo costituente, perché si elesse anche l’assemblea che doveva, un anno e mezzo dopo, dare al paese una Costituzione.

Che si ponevano le basi di un potere pubblico nuovo, chiamato Repubblica, dove il termine non significa l’opposto di monarchia, ma qualcosa di diverso, perché vuol dire Stato – ordinamento o Stato – comunità, cioè anche la collettività dei cittadini. Il 2 giugno 1946 era andato al voto quasi il 90 per cento dell’elettorato, cioè il popolo aveva riscoperto la possibilità di far sentire la propria voce (molto più di quanto accaduto poi, essendo la partecipazione elettorale andata successivamente calando). Infine, che il 2 giugno si commemora anche la morte di Garibaldi, avvenuta quel giorno stesso del 1882.

 

Repubblica è quindi parola polisemica, porta più significati.

La Costituzione la usa più di 70 volte. Per indicare la forma di Stato, un capo elettivo invece che un vertice dinastico, non ce n’era bisogno. Quando la Costituzione entrò in vigore, nel 1948, la monarchia da quasi due anni non c’era più. Quindi, la parola vuol dire altro. Indica – come detto – l’insieme dell’ordinamento italiano. Viene usata in luogo di Stato, per abbandonare terminologia e concetti del fascismo, per indicare un potere pubblico che include i cittadini nelle loro varie formazioni.

 

Ma c’era anche il gusto della novità: il seggio elettorale, la possibilità di fare una scelta.

Dal 1921 non c’erano libere elezioni. Nel 1924 c’era stato il listone. Nel 1929 e nel 1934 i plebisciti. Nel 1939 la trasformazione della Camera dei deputati in Camera dei fasci e delle corporazioni, per scegliere i cui membri non vi era neppure la parvenza di partecipazione popolare, perché essa si rinnovava automaticamente (quando una persona entrava o usciva dall’organo di vertice del Partito nazionale fascista o delle Corporazioni, entrava o usciva automaticamente dalla Camera dei fasci e delle corporazioni).

Torniamo alla Costituzione. A mano a mano che ci allontaniamo dalla sua data di nascita, si rafforza o si indebolisce?

Da un lato, c’è un patriottismo costituzionale che si rafforza: i valori costituzionali penetrano lentamente, altrettanto lentamente ci si rende conto del patrimonio morale rappresentato dalla Carta costituzionale. Dall’altro si afferma il suo contrario. Si diffonde l’immagine di una diversa Costituzione, si consolida una Costituzione immaginaria.

 

Una Costituzione immaginaria?

Sì, immaginaria. Partiamo dalle parole, che nascondono istituti e valori. Quante persone si riferiscono a chi guida il governo con il termine, corretto costituzionalmente, di presidente del Consiglio dei ministri? L’uso corrente è “premier” o addirittura “primo ministro”. Ora, tra il presidente del Consiglio dei ministri e la figura del premier o primo ministro c’è una grande differenza. Il primo è un “primus inter pares”. Il secondo è un superiore gerarchico. Non ci vede uno slittamento linguistico, indice di uno slittamento istituzionale, un accentramento di poteri a danno del governo come collegio, e del Parlamento? E questo non è l’unico segnale linguistico di una modificazione.

 

Continuiamo, dunque.

I presidenti delle giunte regionali sono correntemente chiamati governatori. Quest’ultimo termine è proprio degli Stati federali, come gli Stati Uniti d’America, dove chi guida la California o il Wyoming si chiama governatore. Ancora una volta, il segnale linguistico di una trasformazione istituzionale, che porta alla verticalizzazione del potere.

 

Continui a illustrare questa (nuova) Costituzione immaginaria.

La definizione del Consiglio superiore come organo di autogoverno. La Costituzione ha chiamato quest’organo collegiale a gestire la carriera dei magistrati per evitare influenze indirette del governo sulla giustizia, attraverso le pressioni che possono esercitarsi nella nomina, nella assegnazione dei posti, nelle promozioni dei magistrati. Dunque, configura il Consiglio superiore come uno scudo, non come un organo di autogoverno. L’uso, non solo linguistico, avvalorato dalla cittadella chiusa dei magistrati, ha configurato una Costituzione immaginaria distante da quella disegnata dalla Costituzione, consentendo ai magistrati di sentirsi cittadini diversi dagli altri, perché autogovernantisi.

 

Si ferma qui?

C’è anche la burocrazia. Oggi tutti affermano, a cominciare dal presidente del Consiglio dei ministri, che bisogna tagliare la burocrazia. C’è unanimità di opinioni in proposito. Ma si tratta di una sineddoche, perché si indica la parte per il tutto. Si lamenta che lo Stato nel suo insieme non funziona, indicando la sua parte terminale, l’amministrazione. Nello stesso tempo, quella sua parte terminale è messa sotto accusa, e si prende anche le critiche dirette ad altre parti dello Stato.

 

Finito?

Termino l’elenco con la Consulta, il termine breve con cui viene indicata la Corte costituzionale, un termine che ha origine dal palazzo in cui l’organo è ospitato, costruito nel 1700 per ospitare la “Sagra Consulta”, un organo giudicante pontificio. Ma la parola indica anche un’attività, quella di consigliere, di chi dà pareri, e quindi svia, nell’immaginario collettivo, l’attenzione di coloro che non conoscono il diritto e le istituzioni, dalla vera attività della Corte costituzionale. Consigliare è ben diverso dal giudicare. Chi dà un parere sa che può non essere seguito, chi giudica deve ottenere obbedienza. Un organo di garanzia finisce per presentarsi linguisticamente depotenziato.

 

Che vuol dire quest’analisi linguistica?

Le parole contano, sono dense di significati, penetrano nell’uso, entrano nella testa delle persone, creano convincimenti, li consolidano, suscitano aspettative e speranze. Queste parole sono il segno di uno slittamento complessivo dell’ordinamento, che si sta trasformando, sotto l’influenza di molti fattori, ma aiutato in questo slittamento dagli usi e tradimenti linguistici. Attenzione, quindi, ai significati originari della Costituzione, se non vogliamo trovarci un giorno con una costituzione materiale diversa dalla Costituzione formale.

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