Foto LaPresse

L'irritante lite di governo in forma di cazzeggio

Giuliano Ferrara

Dopo un periodo d’emergenza tanto prolungato il risorgere del basso impero litigioso ha qualcosa di frastornante e fa infuriare la gente. Evitare, prego

La lite di governo era un modo di funzionare degli esecutivi di coalizione sotto la Repubblica originaria. Non era male, divertiva e incuriosiva. Il bestiario politico nazionale si selezionava per capacità tattiche, bruschezza e soavità alternate nei toni, sgambetti banali e trappoloni infernali, nella lite certi acquisivano spessore, segnalavano le loro ambizioni, mettevano a disposizione del paese governato, e con un certo brio, un campionario di sbalzi di umore, spregiosi insulti: era la “lite delle comari”, era la contesa sulla famosa staffetta alla guida del ministero tra Craxi e De Mita, cose che i più giovani non ricordano nemmeno, erano contrasti tra istituzioni del bilancio pubblico, con il contorno molto poco banalmente ministeriale degli scontri ideologici tra vecchie organizzazioni con una storia illustre e dannata, alla luce del Novecento.

 

Poi negli anni, piano piano, la lite di governo è diventata un rituale noioso, uno scadente concorso a primeggiare invano tra capi che non contavano, ministri senza peso, e il lessico rissaiolo inevitabilmente si essiccò, divenne implausibile, una faccenda più domestica che castale, i vecchi mandarini si erano fatti nuovissimi mandaranci, ibridi della lotta politica, privi di forza interna, di vocalità veramente aggressiva. Questo fu poi il declino dei partiti, messi sotto dal ceto giudiziario, intimiditi, ridotti a un nonnulla rispetto alle radici. Hanno fatto parziale eccezione alla mediocrità litigiosa alcune delle manipolazioni pop in cui il berlusconismo si faceva beffe del vecchio codice, e – bisogna riconoscerglielo – le fanfaronate iniziali del Truce, quando Salvini dominava come un ossesso con i suoi temi prediletti della chiusura e del primato italiano su una carovana a 5 Stelle tramortita dalla violenza maschia e cafona del ministro dell’Interno (ma tutto finì nella farsa autolesionista dell’estate del Papeete). Per il resto, da tempo, non si vedevano che conflitti minori tra minori d’età politica, di esperienza, di stazza teatrale. Noia, dunque.

 

Adesso la litigiosità di governo è semplicemente ributtante, e ha un tratto ridicolo. La grande malattia generale ci ha inchiodato, la gente si è giustamente convinta che i dati e le misure erano da Protezione civile, che le opinioni dovevano avere un minimo di verifica sperimentale e teorica nella scienza epidemiologica, che le funzioni della politica assumevano una nuova pregnanza di fatto, perfino il ministro della Sanità diventava uno da stare a sentire, insomma non si doveva scherzare con i procedimenti d’autorità necessari alla salvaguardia comune. E dopo un simile periodo, pieno di contraddizioni e sopravvivenze del fatuo, ma estremamente serio, con rinunce vere e familiari e di cittadinanza alle libertà da sempre godute, dopo un tratto d’emergenza tanto prolungato il risorgere del basso impero litigioso ha qualcosa di frastornante. In Europa si sono decisi a una svolta: convergenza e solidarietà per curare gli squilibri, con una speciale e sonante attenzione alle economie più deboli e uno sforzo notevole per riprogrammare il futuro comune (guardate la Merkel e Macron come si ingegnano su automotive, ambiente, investimenti di trasformazione nei campi della ricerca).

 

Chi governa in Italia ha il dovere tassativo di un cambio di stile rispetto al passato. Oggi il cazzeggio infrapartitico, correntizio, la lite interministeriale, le querelle tra capidelegazione, gli aggiustamenti di profilo personale, le corse a qualificare i conti, il ritorno di Dibba, e tutto il resto del cucuzzaro delle scemenze, ecco, oggi tutto questo scombussola, irrita, e fa infuriare la gente che si sente presa per il culo. Evitare, prego. 

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.