Conte a Palazzo Chigi con i leader dell'opposizione (foto LaPresse)

Conte fa muro (di gomma) e Salvini progetta un'offensiva a giugno

Valerio Valentini

Nella Lega si fa largo l'idea che in estate, quando l'epidemia cederà di nuovo spazio alla battaglia politica, sarà lo stesso Conte ad agevolare un nuovo governissimo

Roma. E’ un po’ una guerra di posizione, dove ognuno pensa innanzitutto a guadagnare tempo. Risorsa che è preziosissima per Giuseppe Conte, il quale s’è convinto che nessuno proverà davvero a disarcionarlo fintantoché il morbo infuria. E sulla gestione della crisi prova a fortificare la sua resistenza a Palazzo Chigi nell’attesa dell’assedio. “Non si spiega altrimenti il fatto che un premier, nel bel mezzo dall’emergenza, trovi l’occasione di andarsi a fare fotografare a fianco del Papa”, allargano le braccia al Nazareno. E’ proprio il tempo, comunque, ciò che il premier ha voluto guadagnare mercoledì, con l’ennesimo inconcludente incontro concesso ai leader dell’opposizione. I quali, un po’ stufi di finire sempre nella rete di Conte, in questa sua tela di rinvii e rimandi, hanno provato a inchiodarlo con un paragone eloquente. “Presidente, guarda che qui è come nella lotta alle BR: quando si decide di farla, l’unità nazionale bisogna farla sul serio”. Invito che però Tajani, Meloni, Salvini e Lupi hanno visto rimbalzare su un muro di gomma pochi minuti dopo, quando hanno chiesto la portata del decreto “Aprile”, quello su cui maggioranza e opposizione dovrebbero lavorare insieme, e si sono sentiti rispondere: “Ancora non lo sappiamo”. “Si crede l’uomo Denim: quello che non deve chiedere mai”, sbotta il forzista Giorgio Mulè. “Ma a giugno dovrà abbassarsi a chiedere clemenza, altroché”.

 

Sì, perché la convinzione diffusa e che sarà allora, all’inizio dell’estate, che l’epidemia cederà di nuovo spazio alla battaglia politica. “E a quel punto – ragionano nella Lega – sarà lo stesso Conte, se non vuole esserne travolto, ad agevolare un nuovo governissimo”. Del quale Salvini, se seguirà i suggerimenti che Giorgetti continua a dispensargli, non farà parte in prima persona: “Come Bossi nel ’94: fai il segretario ma stai fuori e ti tieni le mani libere”. E nell’attesa, però, anche lui, Salvini, prova a sfruttare questo tempo sospeso sulle sciagure del Covid per capire il da farsi: “Di certo non puoi chiederci di fare la mezza opposizione”, ha detto mercoledì, il leader della Lega, a Conte che gli rinfacciava di esagerare con le critiche al governo. Perché ciò che il segretario del Carroccio ripete ai suoi fedelissimi è che Giuseppi “vuole intestarsi i successi e distribuire le colpe”: e insomma se mercoledì ha offerto con maggiore credibilità un patto di non belligeranza al centrodestra, è perché “ha capito che annaspa”. Sul fronte interno, del resto, mercoledì è stata forse la giornata peggiore dall’inizio della crisi, in termini di efficienza della macchina emergenziale: dal pasticcio delle mascherine inviate alla Lombardia al presunto sabotaggio del laboratorio del San Camillo a Roma, passando per la reinterpretazione della circolare interpretativa del Viminale sulle passeggiate. Per finire, poi, col disastro dell’Inps. Su cui il Pd ha depositato al Senato un’interrogazione al ministro del Lavoro Catalfo, a prima firma del capogruppo Marcucci. “Da parte nostra non può che esserci il massimo dell’attenzione su certe procedure”, dice il senatore dem Mauro Laus, pure lui sostenitore dell’iniziativa. “Quanto al dopo”, e cioè alla resa dei conti interna alla maggioranza, “se ne riparlerà dopo”.

 

Bisognerà parlare subito, invece, della questione ungherese, sulla quale – di nuovo – il Pd pretende dal premier e dal ministro degli Esteri Di Maio, entrambi stranamente silenti, una presa di posizione dell’Italia in sede europea contro la deriva illiberale di Orbán. Perché va bene il non fare polemica, “ma neppure possiamo farci scavalcare a sinistra dai popolari danesi”, allarga le braccia il costituzionalista Stefano Ceccanti, del Pd. Segno che insomma pure tra i dem un po’ di malumore inizia a montare. Lo si è capito anche dai commenti di qualche loro ministro che, nel vedere l’entusiasmo di Conte che rivendicava il varo del fondo europeo contro la disoccupazione, scuoteva il capo, tenendo a precisare, a taccuini chiusi, che la trattativa s’è svolta tutta ben al di sopra della testa del premier. “Dum Romae consulitur, Gentiloni lavora”, dicevano, lodando il trafficare discreto del commissario agli Affari europei. Per ora, senza alimentare polemiche. Poi, a giugno, si vedrà.

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