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La parabola delle sardine, il Pd sospeso e l'ultimo Grillo. Parla Alessandro Dal Lago

Marianna Rizzini

“Queste mobilitazioni rischiano, se non si istituzionalizzano, di iniziare una parabola discendente. Attenzione anche a chi li blandisce in modo interessato”, dice il sociologo

Roma. “Darci una cornice è come mettere i confini al mare”, hanno scritto le sardine originarie di Bologna venerdì scorso, nella lettera aperta a Repubblica in cui ribadiscono la “libertà di non fare un partito”. “Va tutto benissimo, ma attenzione”, dice il professor Alessandro Dal Lago, sociologo e autore di saggi fuori dal mainstream sulla realtà politica italiana (tra cui due pubblicazioni sulla demagogia elettronica e sul populismo digitale). “Attenzione”, dice Dal Lago, uomo dichiaratamente di sinistra-sinistra, ma senza paraocchi ideologici: “Le mobilitazioni di questo tipo rischiano, se non trovano in qualche modo la strada per istituzionalizzarsi, di raggiungere l’acme e poi iniziare una parabola discendente. Allo stesso tempo devono evitare, le sardine, di farsi blandire da chi li blandisce in modo interessato”.

  

Poi c’è il Pd: “Un Pd che vede piazze piene di una bella gioventù di centrosinistra”, ma che, dice Dal Lago, “sa che se prova a mettere il cappello sulla mobilitazione, la mobilitazione ne esce danneggiata”. Intanto Beppe Grillo loda le sardine e il loro linguaggio “igienico-sanitario”, di fronte a piazze che sono però lo specchio rovesciato delle sue antiche piazze del “vaffa”, con quel no al linguaggio d’odio (di Matteo Salvini in primo luogo, ma non solo) e quell’altro “no” alla “semplificazione” del linguaggio populista, semplificazione in cui i Cinque stelle si sono fatti alfieri e beneficiari nelle urne. “Grillo sa che il suo movimento gli si sta letteralmente sciogliendo tra le mani”, dice Dal Lago, “e sa che la sua base non è come quella di Salvini, più solida e con zoccolo duro. Ecco perché sta cercando di recuperare terreno, avvicinandosi all’anima ecologista e democratica del centrosinistra che scende in piazza. Poi bisogna vedere se questo riscendere in piazza in modo civile, ovviamente benvenuto, avrà la forza per superare lo stadio del fenomeno occasionale”.

 

Però queste piazze sembrano davvero aver colto una stanchezza per un lessico di delegittimazione reciproca. “L’odio, per come si manifesta, specie l’odio sui social, è sgradevole, ma a mio avviso è anche sopravvalutato. C’è come un rumore di fondo, c’è una comunicazione negativa soverchiante, ma poi resta spesso tutto sospeso e imprigionato nel web. Però è vero che a forza di sentire mille voci d’odio al giorno si crea un effetto saturazione, e la curva di chi in piazza puntava sul vaffa o sulla demonizzazione, come la Bestia di Salvini, ha cominciato a farsi discendente”.

 

E il Beppe Grillo che, dopo aver fallito nell’aprire il Parlamento come una scatola di tonno, vuole farsi sardina, ha davanti, dice il professore, “un M5s in cui non è limpido il rapporto con la ditta-Casaleggio, ed è invece chiarissima la trasformazione in una sorta di Dc perdente, dilaniata da lotte tra fazioni, per giunta condotte da persone che non sono esattamente esempi di competenza politica, ma che anzi spesso scivolano verso la nullità totale. E Grillo, che è uomo di palcoscenico, lo avverte. Il suo agitarsi ora, infatti, non è l’agitarsi trionfale di cinque anni fa, è un agitarsi dettato dal timore della dissolvenza della sua creatura”.

 

Dal Lago, che in gennaio darà alle stampe un saggio dal titolo benaugurante (“Viva la sinistra: idee per la rinascita”, ed. il Mulino), non vede però nel Pd un atteggiamento al momento vincente. Il Pd a suo avviso non ha compiuto, dice, come pure alcuni analisti pensano, l’errore di eccessivo avvicinamento al corbynismo appena affossato in Gran Bretagna, “ma anzi, pecca di non-definizione in generale. Purtroppo il Pd è come ingessato, e lo dico con malinconia. No si capisce bene quale direzione voglia prendere, sospeso com’è tra moderatismo e ambizione di essere ‘altro’. E poi c’è qualcosa che non funziona nell’atteggiamento verso gli elettori: sembra assente in rete, cristallizzato in risposte sempre uguali, e assente in piazza. Ma non si può tornare a vincere se ci si limita, per così dire, a restare a guardia del bidone. Intanto però Matteo Renzi e Carlo Calenda dovrebbero riflettere: c’è il rischio di finire a spolparsi un osso troppo piccolo”. C’è una soluzione? Dal Lago non vede chiavi magiche di resurrezione, ma intanto si augura “che un partito che dovrebbe l’alternativa social-democratica non si parlamentarizzi troppo. E che non continui ad alienarsi le simpatie di un popolo orfano di rappresentanza – vedi le sardine che chiedono di cancellare i decreti sicurezza ne sono un esempio. Dovrebbe riflettere sul recupero dei proprio principi fondativi. Perché on si tratta più di mantenere il governo di Budrio o di Sesto San Giovanni”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.