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Caro Salvini, mi creda, tutta quella sofferenza in più non le serve. E lei ha già perso

Sandro Veronesi

La sua idea di chiudere i porti è un braccio di ferro inutile. Su quel tavolato di Open Arms io ci sono stato: è solido, ma è duro. Una lettera di Sandro Veronesi

Gentile ministro Salvini, dunque siamo a questo: la nave Open Arms può entrare in acque territoriali italiane, può avvicinarsi all’isola di Lampedusa e può sostare alla fonda a poche centinaia di metri dal porto; a bordo possono salire ospiti, medici, funzionari, per testimoniare sulle condizioni dei naufraghi (ha salvato più di 150 persone, questa nave, da morte certa, in due successivi interventi), ed essi possono successivamente anche scendere mentre i naufraghi no, sono trattenuti a bordo con coercizione, a meno che – e negli ultimi 15 giorni è già successo sei volte – non si trovino in condizioni di emergenza sanitaria. Cioè, l’ultimo baluardo della sua azione in difesa della sicurezza nazionale è che questi naufraghi possono scendere soltanto feriti, in barella, in condizioni di pericolo. Chi resiste alla tortura continua a subirla, mentre per chi non ce la fa scatta l’opzione umanitaria.

 

Quindici giorni, signor ministro. Questa manfrina va avanti da quindici giorni. Non sfugge a nessuno che questa sua posizione è una posizione di principio, volta a scoraggiare non si sa chi dalla tentazione di considerare l’Italia come il molo d’attracco per l’Europa. Ed è diventata una manfrina anche ciò che da quattordici mesi le viene ripetuto in tutti i modi dalla gente come me, quelli che i suoi sostenitori chiamano “sinistri”, “pidioti” “pagati da Soros”, e cioè che la sua idea di chiudere i porti, oltre che impossibile, è una grave violazione del diritto internazionale. Non starò dunque qui a ripeterle ciò che le abbiamo già ripetuto per più di un anno.

 

Andrò direttamente alla fine del ragionamento, comunicandole che in questo braccio di ferro lei ha già perso, per due ragioni:

1) è certo, signor ministro, che uno alla volta tutti i naufraghi trattenuti a bordo di Open Arms si ammaleranno, vedranno infettarsi le loro ferite, impazziranno, compiranno gesti di autolesionismo, verranno rosi dalla scabbia o si butteranno in acqua, rientrando così nella categoria dell’emergenza sanitaria che darà loro diritto di sbarco. Quanta sofferenza sarà necessaria non si può prevederlo, ma si può prevedere con certezza che prima o poi tutte le 134 persone rimaste a bordo di Open Arms raggiungeranno il limite di sopportazione fisica che darà loro diritto di sbarcare nel nostro paese. E anche se qualcuno morisse, badi bene, il suo corpo non verrebbe dato in pasto ai pesci, come i suoi simpatici sostenitori non mancano mai di augurarsi, ma verrà egualmente portato a terra.

 

E, 2) un suo ipotetico ripensamento, con concessione del permesso di sbarco, subito, di tutti e 134, per motivi umanitari, non verrebbe nemmeno notato come tale, nella tempesta di ripensamenti clamorosi, repentini e spesso anche ridicoli, che infuria su di lei e sul suo operato da quando è in carica nel governo.

  

Cioè: non si preoccupi di difendere alcun principio, signor ministro, per una mera questione di coerenza, perché tutto il mondo ormai ha constatato che lei e la coerenza siete come il giorno e la notte, quando c’è l’uno di sicuro non c’è l’altra. Mi ascolti, mi dia retta e li faccia scendere, tutti, subito: anche i suoi interessi politici personali, nell’angolino dove al momento si ritrova inchiodato, non potranno che giovarsene. Al contrario, prolungare oltre questa tortura nei confronti di persone che non hanno commesso alcun male, la indebolisce ancor più di quanto già non si sia indebolito da solo.

 

Su quel tavolato di Open Arms io ci sono stato: è solido, ma è duro. Gli attivisti e i volontari dell’organizzazione sono persone generose, ma a bordo ci sono solo tre gabinetti. Il mal di mare, dopo un po’, diventa insopportabile. La fregheranno, signor ministro, la fregheranno di sicuro: si ammaleranno tutti, uno alla volta, e così facendo scenderanno a terra, e a lei non resterà che prendersela con la Croce Rossa, coi protocolli sanitari e soprattutto con i batteri che, divorandoli, avranno salvato i corpi dei suoi nemici naufraghi.

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