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Salvini ora s'ispira a Varoufakis, ed è pronto a “sacrificare” Giorgetti

Valerio Valentini

Il leader della Lega è pronto a dire no alla “delfina della Merkel”, a opporsi in modo netto alla riproposizione dell’asse franco-tedesco e rivendicare come un successo la propria marginalità

Roma. Il buonsenso, quello a cui pure ha intitolato la sua campagna per le europee, gli consiglierebbe di trarre un insegnamento banale dalla vicenda di Alexis Tsipras: contro l’Europa, armati solo di vago ideologismo nazionalista, non si può andare. E invece Matteo Salvini, stando ai racconti di chi gli parla in questi giorni, dall’irresistibile declino del leader di Syriza – uscito sconfitto alle elezioni greche – ha maturato semmai una convinzione di segno opposto: e cioè che l’errore fatale di Tsipras sia stato non quello di aver lanciato la sua crociata contro l’Europa, ma quello di non averla combattuta fino in fondo. Come se insomma, più che all’esempio dell’ex premier ellenico, il capo della Lega guardasse a quello di Yanis Varoufakis.

 

Riflessioni condivise dal ministro dell’Interno coi suoi più stretti collaboratori. E però, proprio da questi conciliaboli dipenderà la scelta della Lega e del governo italiano sulle prossime mosse in Europa. Il bivio si porrà il 16 luglio, quando il Parlamento europeo sarà chiamato ad approvare la nomina di Ursula von der Leyden a capo della Commissione. I leghisti di stanza a Bruxelles confermano che “ancora non abbiamo ricevuto indicazioni sul da farsi”, ma al tempo stesso aggiungono che “se c’era un modo per convincere Matteo a bocciare la von der Leyden era chiedergli di votarla”. Riferimento a Giuseppe Conte, che sabato scorso ha lanciato un appello ai suoi due vice, invitandoli a non scegliere la via dell’opposizione totale. “Per cui – sintetizza un ministro del Carroccio – se ora diciamo di sì sembrerà che cediamo a Conte”. Questione di muscoli insomma, che però nella tattica di Salvini contano assai. Almeno quanto il vittimismo da teoria del complotto, l’idea che esista una congiura delle potenze continentali ai danni della derelitta Italia.

 

E così, accanto alla strada della ragionevolezza – votare la von der Leyden e provare a riacquistare agibilità politica a Bruxelles – Salvini ne ha sondata un’altra, che pare gli sia piaciuta di più e che prelude allo scontro totale. Dire no alla “delfina della Merkel”, opporsi in modo netto alla riproposizione dell’asse franco-tedesco e rivendicare come un successo la propria marginalità. “Visto? Ce l’hanno tutti con noi”. Un piagnisteo inconcludente a livello politico, ma utile a livello di propaganda. E tanto basta. Si spiega così anche l’insistenza con cui – nonostante le perplessità filtrate dal Quirinale – Salvini insista nel ventilare la nomina del no euro Alberto Bagnai a ministro per gli Affari europei.

 

Sempre alla luce di questa strategia si legge anche la fermezza con cui il capo del Carroccio stia pressando Giancarlo Giorgetti ad accettare la candidatura a commissario europeo. “Faccio quello che mi si dice di fare”, ha ribadito Giorgetti nelle scorse settimane; quando però sperava che il suo partito riuscisse a tessere un minimo di relazioni a Bruxelles. Di fronte all’acclarato ostracismo nei confronti della Lega, quel “cordone sanitario” che tiene il primo partito italiano fuori dai giochi, il sottosegretario alla Presidenza s’è convinto che una candidatura troppo “politica” come la sua andrebbe incontro a una bocciatura pressoché certa da parte del Parlamento europeo. E tuttavia anche un impallinamento di Giorgetti sarebbe funzionale alla retorica salviniana, legittimando un suo ulteriore irrigidimento su posizioni antieuropeiste. Senza contare che servirebbe, questa eventuale disfatta di Giorgetti, a rafforzare le velleità di chi, nel circolo ristretto del Capitano, spera di vedere offuscarsi il mito dell’“eminenza ligia” del Carroccio per poterlo scalzare. Si spiegano così le voci infastidite di molti salviniani di stretta osservanza che, in queste ore, vanno commentando le remore di Giorgetti con toni sprezzanti, ricordando che “Giancarlo ha già rifiutato troppe responsabilità, a partire dalla nomina a ministro dell’Economia”, e che in fondo “non ce lo ha ordinato il dottore di fare politica in un momento così convulso, per cui o hai il coraggio di metterti in gioco o stattene a casa”. E certo, quella di tornarsene a pescare sul suo lago di Varese è una fantasia assai vaga per Giorgetti. Ma l’idea di rimettere le deleghe da sottosegretario alla Presidenza, quella sì che la sta prendendo in considerazione. “Piuttosto che andare a Bruxelles – s’è lasciato scappare coi suoi confidenti – mi dimetto da Palazzo Chigi e torno a fare il deputato semplice”.