Il premier Giuseppe Conte col sottosegretario ai Trasporti, Armando Siri (Foto LaPresse)

“Basta litigi nel governo”, ci dice Fantinati (M5s)

Valerio Valentini

“Siri infanga tutti noi, ma l'esecutivo andrà avanti. Un’alleanza con il Pd? Ma quando mai”. Parla il sottosegretario grillino alla Pubblica amministrazione

Roma. Perfino lui che di solito tende a non ingigantire le polemiche, stavolta ammette che “sì, la tensione è elevata: la permanenza di Armando Siri getta fango su tutto il governo”. Poi però, quasi riconquistando la sua abituale freddezza, Mattia Fantinati, sottosegretario del M5s alla Pubblica amministrazione, predica prudenza: “Dobbiamo tutti darci una regolata, abbassare i toni. I leghisti per primi farebbero bene a ripensare a tutte le volte che gli ultimatum li hanno lanciati loro: dalle trivelle, alla Tav. Io a Salvini non consiglio di tornare con Berlusconi, non credo gli convenga. Ma se ci tiene tanto, si accomodi”. Il capo della Lega, in verità, dice la crisi è solo nella testa di Di Maio. “Nella testa di Di Maio c’è la volontà di rispettare la parola data: per cui, anziché a queste continue scaramucce, pensiamo al contratto di governo”. 

 

Ecco, a proposito di contratto: in base a quello, il sottosegretario Siri non dovrebbe dimettersi, dal momento che non è ancora neppure imputato. “Ma la questione – risponde subito Fantinati, grillino veronese e tra i fedelissimi di Di Maio – qui non è politica. È morale. Si parla di corruzione, di tangenti, di mafia”. Piano, piano. Ipotesi di reato tutte ancora da dimostrare; e l’aggravante mafiosa non avrebbe comunque nulla a che fare col filone d’inchiesta che coinvolge Siri, a cui comunque il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli ha già ritirato le deleghe. “D’accordo, ma noi del M5s non possiamo neppure tollerare in alcun modo che i cittadini siano indotti a pensare che, dove ci siamo noi, possa esserci l’ombra di corruzione”. Ma se bastano i sospetti più o meno fondati a rendere doverose le dimissioni di un politico che si professa “onesto”, allora la Raggi? “Virginia non è neanche indagata”. Lo è stata a lungo, però, ed è rimasta al suo posto, in Campidoglio. “Ma le vicende non sono paragonabili: la sindaca di Roma non è mai stata indagata per corruzione. La valutazione va fatta caso per caso, non può essere sommaria”.

 

E dunque, se Armando Siri non si dimette, cosa succede? “Valuteremo”. Cade il governo se Salvini non impone al suo sottosegretario un passo indietro? “Vedremo. Io comunque spero che sia la Lega per prima a volere tutelare la sua immagine di forza del cambiamento, non invischiata con certe pratiche della vecchia politica”. E dunque? “E dunque esistono delle differenze, tra noi: noi siamo quelli che si dimezzano lo stipendio, loro sono quelli dei 49 milioni. Ognuno poi risponde ai suoi elettori”.

 

Già, gli elettori. Non sarà che questa improvvisa guerriglia contro la Lega – la scoperta dell’appartenenza di Salvini all’“ultradestra” prima, la lite sui porti aperti e chiusi, e ora la questione morale – la portate avanti perché avete capito che così riuscite a fermare l’emorragia di consensi? “Noi non ci facciamo certo mettere i piedi in testa da nessuno. Salvini ha condotto per mesi una campagna aggressiva contro di noi, seppure in maniera più sottile. Ora, semplicemente, stiamo ribadendo alcuni princìpi per noi fondamentali. Se poi questo paghi nei sondaggi, tanto meglio. Ma io tendo a non guardarli, molto”. Salvini dice che state pensando a un governo alternativo con la sinistra. Nella Lega si vocifera sul fatto che Davide Casaleggio spera in un’alleanza col Pd, di qui a qualche mese. “Ma quando mai. Per noi la parola data agli elettori è sacra: abbiamo scritto un contratto di governo, abbiamo chiesto ai nostri iscritti un mandato ufficiale su quello, tramite Rousseau: per noi esiste solo quello, niente altro”.

 

E dopo il 26 di maggio? “Verrà il 27 maggio”. E magari un rimpasto, una revisione di questo famigerato contratto che dia maggiore peso alle istanze leghiste a discapito delle vostre? “Non credo che si cambi l’agenda di governo, dopo il voto delle europee. Sarebbe quantomeno bizzarro che a seguito di un’elezione per l’Europarlamento si modificassero gli obiettivi di un esecutivo nazionale. Quanto a un riequilibrio a livello di poltrone, non lo escludo, se è quello che Salvini vuole. Ma dipenderà dal risultato”. 

 

Tra i ministri leghisti più insofferenti, c’è proprio Giulia Bongiorno: ultimamente vi attacca spesso, condanna il vostro “giustizialismo a intermittenza”, tutti la descrivono come colei che, con maggiore fermezza, chiede a Salvini di interrompere questa alleanza gialloverde. “La giudico come responsabile del ministero in cui ho l’onore di lavorare: e mi sembra che, per la Pubblica amministrazione, stiamo lavorando bene. Poi, certo, a volte prende posizioni un po’ radicali su temi che non le competono direttamente, come la castrazione chimica. Ma non commento le sue esternazioni politiche, credo appartengano più che altro alla polemica politica, che lascia un po’ il tempo che trova”.

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